domenica 3 settembre 2017

Venezia 74 - Lean on Pete

Dopo il 'Cinema for gay people' (Weekend) e il 'Cinema for ladies' (45 years), il catatonico e incomprensibilmente acclamato regista britannico Andrew Haigh attraversa l'Oceano e trasloca la sua cronica assenza di un'idea precisa e utile di cinema al servizio del racconto di un ragazzino biondino e caruccio (il pur ottimo Charlie Plummer, visto in Boardwalk Empire, e in lizza per il ruolo del protagonista in Spiderman: the homecoming affidato poi a Tom Holland) cui ne succedono ‘di ogni', come si dice in gergo, secondo quelle cadenze del fato per cui i più buoni scomodano l'espressione inglese ‘coming of age' corrispondente all'italiana ‘racconto di formazione', nell'America profonda e provinciale già illustrata mille e mille volte dal cinema statunitense, con risultati stilisticamente e poeticamente più convincenti e sensati. Lean on Pete è la storia dell'amicizia tra questo ragazzino, solitario e carente delle attenzioni e degli affetti più elementari, e un cavallo da corsa un po' fasullo, che vince grazie a certi “aiutini” chimici somministratigli dal suo anziano proprietario, uno Steve Buscemi che è senz'altro il personaggio più riuscito e meglio disegnato. Ma questa è solo la prima parte del film, piuttosto buona e interessante, anche se condotta con la consueta avarizia narrativa tipica di Haigh, in cui molti credono di rintracciare il suo genio, mentre occhi forse più allenati ed esigenti riconoscono una precisa assenza di immaginazione. Liberatosi del cavallo con un ‘colpo di scena' appiccicato come un calcio in avanti a una sceneggiatura che procede, sì, sulla base del romanzo di Willy Vlautin La Ballata di Charley Thompson, ma che cinematograficamente non riesce a fornire giustificazioni narrative sufficienti e credibili per quello che sullo schermo risulta uno sviluppo meccanico e costruito a tavolino, di sfortuna in sfortuna il biondo Charley finisce sulla strada come un barbone qualunque e in una seconda parte troppo lunga e sfilacciata, dove ancor più acuta è la cronica assenza di un cinema capace di innervare un racconto con gesti filmici efficaci e una scrittura attraente, affronta stancamente sempre nuove situazioni disagiate e sgradevoli. Il limite più grave del film sta forse nel fatto che Haigh è troppo innamorato del suo giovane protagonista biondino e caruccio per preoccuparsi di riempire il proprio vuoto di idee, e si bea di inquadrarlo e riprenderlo malinconico, taciturno, imbronciato e depresso, incapace di prendere in mano la situazione se non fuggendo via ogni volta verso nuovi guai, per ritrovare infine una sua nuova famiglia presso una zia lontana, a lungo, anzi troppo a lungo cercata, occasione per dilungarsi in ulteriori dialoghi estenuati ed esornativi. Un cinema, insomma, che non sa dove andare, non sa cosa dire, e soprattutto non sa come dirlo. Da sempre. Eppure il pubblico giubila tutto contento.

(Lean on Pete); Regia: Andrew Haigh; sceneggiatura: Andrew Haigh; fotografia: Magnus Nordenhof Jønk; montaggio: Jonathan Alberts; musica: James Edward Barker; interpreti: Charlie Plummer, Steve Buscemi, Steve Zahn, Thomas Mann, Amy Seimetz; produzione: The Bureau, Film4; distribuzione: Teodora Film; origine: Regno Unito, 2017; durata: 121'



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