Casacalenda, 3 agosto. Leonardo in fin dei conti è un antisemita puro e non ha bisogno, a differenza degli antisemiti costruiti che lo circondano, delle parole per spiegare la sua sensibilità. In questo le deduzioni del giovane regista trovano un terreno perfettamente aderente nell'analisi del nostro Alessandro Izzi che, nel recensire l'originale opera Pecore in erba (analisi a cui vi rimandiamo), ci parla di un protagonista dotato di un antisemitismo congenito che trova ostacoli nell'esterno che lo circonda e che dovrebbe garantire a tutti una libertà di espressione, anche a coloro i quali, per star bene, avrebbero “semplicemente” bisogno di odiare. Da questo paradosso, assunto il film propone la sua lettura surreale sul mondo dei media, sullo stato della cultura italiana, sul modo di fruire dell'uomo moderno di un'informazione sempre più virulenta; a creare e plasmare il discorso due giovani artisti, l'esordiente regista Alberto Caviglia e il bravo attore Davide Giordano. Quest'ultimi hanno abbracciato l'Arena di Casacalenda per presentare Pecore in erba e Close up li ha incontrati per un focus su alcuni aspetti del film e sulla loro idea di cinema.
Quale argomento preciso hai sviscerato nella tua tesi di laurea magistrale su Cronenberg?
Caviglia. Nella tesi ho cercato di analizzare il rapporto tra sesso e morte in tutta la sua filmografia. Sono due elementi principali che emergono continuamente nella sua lettura sul reale. Di Cronenberg ho sempre amato la capacità di essere fluido con gli argomenti, di fatto presentare sempre nuovi film, ambientazioni e strutture narrative.
Ritrovi ad oggi un suo erede?
Caviglia. Il cinema sta subendo una forte evoluzione e non credo si possa ritrovare un vero e proprio erede dell'autore canadese, almeno nel mondo di raccontarci il continuo rapporto tra uomo e macchina e con una forte crisi delle forme. Ci sono tanti nuovi autori interessanti ma l'evoluzione, la fisiologica evoluzione del cinema non permette, a mio avviso, un nuovo Cronenberg.
Come nasce il progetto narrativo di Pecore in erba?
Caviglia. L'idea originale era quella di sfruttare il binomio satira/antisemitismo mediante il mockumentary, che ritengo la forma più efficace per una sorta di racconto a ritroso. In questo modo ho potuto creare un protagonista alieno a qualsiasi forma di comunicazione a parole e che non ha, di fatto, bisogno di spiegare nulla. Leonardo vive fisiologicamente il suo antisemitismo, è nato così mentre sono gli altri che hanno bisogno di parlare.
Come in Pecore in erba, spesso ti cimenti con il surreale e il grottesco. C'è un genere che senti come inesplorato?
Giordano. Tutta la mia esperienza vive un paradigma ben preciso: ciò che ho fatto, realizzato mi è capitato e difficilmente sono andato a cercarmelo. Spesso non ho desiderato i ruoli che poi ho avuto la fortuna di rivestire; sicuramente il surreale e il grottesco sono terreni molto rischiosi, dove l'attore deve continuamente uscire/entrare dal reale. Non penso a un nuovo genere in cui cimentarmi però posso dirti che cerco in qualsiasi cosa che faccio delle chiavi di lettura originali, innovative.
Nel tuo film la scuola viene continuamente citata: è questa una critica ai programmi scolastici molto spesso avari di informazioni sulla vera storia degli ebrei italiani?
Caviglia. La scuola ha un ruolo fondamentale e serve a espiare qualsiasi forma di pregiudizio. Sono conscio del fatto che ci sia una difficoltà, in termini di tempo e programmi, nello sviscerare tutta la storia, in particolar modo quella del Novecento. Detto questo, credo che sugli ebrei ci siano contenuti limitati e limitanti. Costruire idealmente la Shoah come sinonimo di antisemitismo è per me un errore molto grave.
Su quali autori cinematografici avete trovato una forte convergenza?
Giordano. Ci piacciono a entrambi il cinema classico italiano e i grandi autori come David Lynch, Woody Allen, Sacha Baron Cohen e Monty Python.
Nel film c'è anche una vena nostalgica riguardo al cartaceo; solo sul versante dell'informazione ormai caotica o come registro tattile?
Caviglia. I continui riferimenti al cartaceo, ai giornali, al passato sono un monito verso tutto ciò che accadrà in futuro. Il web è divenuto un enorme contenitore dove tutti hanno libero accesso e sfogo e le troppe informazioni non stanno migliorando i nostri stili di vita. È questo un discorso ad ampio raggio che abbraccia anche il principio democratico governante le nostre società.
Quali sono le vostre serie televisive preferite?
Caviglia. Fargo per la scrittura, Les Revenants per il genere, Utopia per lo stile cinematografico e Black Mirror per la novità che ha portato in termini di linguaggio e come sfida coraggiosa sul mercato.
Giordano. Non sono un grande amante delle serie televisive, sono un po' allergico al tempo necessario per vederle e apprezzarle. Riconosco tuttavia la genialità di Black Mirror e, su un versante della memoria, mi ricordo che amavo molto la sit - com La Tata.
Per concludere. Il tuo film presenta continui cenni storici: chiedi molto al tuo spettatore?
Caviglia. Sicuramente ci sono molti livelli di lettura e quindi anche di cultura. Mi piace pensare che Pecore in erba possa “costringere” lo spettatore a pensare, che esorti alla curiosità e alla voglia di documentarsi.
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