giovedì 29 ottobre 2020

Perché Cadaver è l’horror su Netflix perfetto per Halloween 2020, tra catastrofe e teatri chiusi

Di horror da vedere per Halloween, chiusi i cinema, son piene le piattaforme streaming, e gli appassionati non han che l’imbarazzo della scelta.
E però, dovessi consigliare un film, invece che sui soliti noti la mia scelta cadrebbe su Cadaver, film diretto dal norvegese Jarand Herdal che si trova da qualche giorno disponibile su Netflix.
Una scelta che tutto sommato ha ben poco a che vedere con i meriti artistici di questo strano film, che non sono eccelsi, sebbene la sua iniziale bizzarria e la voglia di proporre una storia diversa dal solito siano apprezzabili. In realtà, a rendere Cadaver il film giusto per l’Halloween del 2020 sono i suoi temi fondanti: la catastrofe e i teatri chiusi (dove i teatri sono sineddoche anche del cinema e della musica dal vivo e in generale del martoriato settore dello spettacolo).

Cadaver: andrà tutto bene?

I protagonisti di Cadaver sono Leonora, suo marito Jacob, e loro figlia Alice.
Leonora, Jacob e Alice vivono in una generica città norvegese, semidistrutta da una catastrofe che ha colpito il pianeta, e che per una volta negli ultimi tempi non è di natura virale ma dovuta al caro vecchio spauracchio del nucleare. Tutto attorno a loro è devastazione, rapacità, morte e desolazione: i pochi sopravvissuti girano per le strade sotto cieli plumbei in cerca di cibo, per non morire di fame. Ma, nonostante la situazione, Leonora ripete - e ripeterà per tutto il film - il suo ottimistico mantra: “Andrà tutto bene”. Vi ricorda qualcosa?

I teatri chiusi, tranne uno

Fatto sta che sotto casa di Leonora, un giorno, arriva uno strano imbonitore, che pubblicizza l’accesso gratuito a un grande e imperdibile spettacolo teatrale, con tanto di cena offerta e compresa nell’ingresso, organizzato in un grande ex albergo che ricorda vagamente il Palazzo reale di Oslo. Per Leonora, che prima del disastro atomico era una famosa attrice di teatro, e che usa ancora la recitazione per scacciare le paure di Alice, e cerca di tenere in vita nella bambina la fiammella della fantasia, della creatività e dello spettacolo, si tratta di un’occasione imperdibile. E, a dispetto dei dubbi di Jacob - che, al contrario di lei, non pensa che andrà sempre tutto bene, e a cui tutto sommato del teatro importa poco - spinge tutta la famiglia ad andare.

Sopravvivere non basta

Quello che si trovano di fronte Leonora e famiglia, organizzato da un misterioso anfitrione di nome Mathias Vinterberg (sì, proprio come il danese Thomas), è uno spettacolo di teatro immersivo, nel quale attori e spettatori si mescolano assieme in tutti i luoghi di quel grande albergo, tutto pesanti tendaggi damascati e tappeti rossi, legni alle pareti e strani quadri di animali.
A distinguere chi recita da chi segue la recita, delle maschere indossate dai secondi. Ma le maschere cadranno presto, in tutti i sensi, e Alice svanirà in quel paese assai poco meraviglioso e molto inquietante, e andando alla sua ricerca Leonora e Jacob scopriranno la verità sullo spettacolo di cui diverranno loro malgrado protagonisti e sul suo organizzatore e regista.
La catastrofe, i teatri chiusi, l’”andrà tutto bene”. Se questo non bastasse per rendere Cadaver un film casualmente ma perfettamente incastonato in questo nostro incasinato presente, c’è anche la frase che Mathias Vinterberg ripete all’inizio di ogni rappresentazione del suo spettacolo: all’essere umano non basta sopravvivere. Deve sentire, provare emozioni. Emozioni, è sott’inteso, che solo l’arte può generare.

L’arte e la fame

E però poi c’è il grande tema della fame, di cosa mangiare, di come sopravvivere: perché l’arte nutre lo spirito, ma anche lo stomaco vuole la sua parte. La catastrofe ha portato crisi, la crisi fame. E la fame porta disperazione e crudeltà.
Purtroppo per noi, in Cadaver, tra l’ottimismo disperato di Leonora e il testardo realismo di Jacob, è il secondo a rivelarsi il più assennato. Almeno fino a un certo punto. Perché nonostante tutto quello che succede, e che è un qualcosa che riguarda tutto ciò che abbiamo detto finora, Leonora troverà proprio nel teatro e nella sua arte la via per la sopravvivenza.

Quell'ultimo raggio di sole

Sarà poi solo una scena a effetto, ma è significativa l’ultima inquadratura con cui Jarand Herdal ha deciso di chiudere il suo film. Un film che poteva essere scritto meglio, svilupparsi meglio rispetto alle premesse originali e interessanti, ma che vede dei bravi attori protagonisti (gli scandinavi in questo sono una garanzia) dal punto di vista formale e visivo è decisamente interessante, in una stilizzazione che sembra voler ambiziosamente fondere in un unico sguardo estetico e narrativo The Game di David Fincher, Hostel di Eli Roth, The Road di John Hillcoat, Delicatessen di Jeunet e Caro, Il buco di Galder Gaztelu-Urrutia e perfino un po’ di Shining e Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick.
Nell’ultima scena di Cadaver, vediamo la città grigia e cupa, gravida di morte per le sue strade, apparentemente senza un futuro. E, sullo sfondo, l’hotel/teatro dove Leonora e la sua famiglia si sono scontrati con un orrore forse ancora peggiore. Che, però, è l’unico luogo sul quale risplenda un raggio di sole.



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