sabato 31 ottobre 2020

Oltre James Bond: semplicemente Sean Connery

Lei si aspetta che io parli?
No, mi aspetto che lei muoia!

Questo scambio tra James Bond e Auric Goldfinger, il primo legato a un tavolo con un raggio laser che si avvia a tagliarlo in due a partire dall’inguine, il secondo beffardamente piazzato a osservare la scena, è uno dei più celebri nella storia dei film di 007.
Goldfinger si aspettava Bond morisse, e non accadde.
Noi, nonostante i 90 anni di età, non ci aspettavamo che Sean Connery - il miglior Bond mai esistito, con buona pace di tutti gli altri - sarebbe morto davvero.

Con Sean Connery se va un pezzo della formazione cinefila di milioni di persone.
Se ne va un James Bond magnifico, ironico ma con misura, ruvido e seducente al tempo stesso. Un Bond che, nel mondo carico delle troppe ipocrisie che il politicamente corretto ha portato con sé, non avrebbe mai avuto spazio né successo, e che per questo è andato reinventandosi per poter stare al passo coi tempi.
Eppure, per colonialista e maschilista che fosse, quel Bond lì, quello di Connery, è ancora inimitabile.
Inimitabil grazie a lui: lui, che ha avuto il la voglia e il coraggio di tirarsi indietro e cedere la licenza di uccidere a qualcun’altro, per potersi dedicare ad altri ruoli, per non diventare schiavo di Bond ma facendo sì che Bond rimasse sempre schiavo del suo imprinting e della sua interpretazione.

Voleva liberarsi da una maschera, da un personaggio che gli stava stretto e lo limitava. Voleva essere Sean, non James. E ha dimostrato, film dopo film, che era Sean, e non James, quello che comandava tra i due.
Ancora prima dell’addio definitivo (o quasi) a 007, gira Marnie con Hitchcock, La collina del disonore e Rapina record a New York con Lumet, Una splendida canaglia con Kershner.
Ma è dopo Una cascata di diamanti, il suo ultimo Bond-movie del canone ufficiale, che Connery si libera completamente e da il meglio di sé.
Arrivano allora film come Zardoz di John Boorman, Riflessi uno specchio scuro e Assassinio sull'Oriente Express ancora con Lumet, e soprattutto Il vento e il leone di John Milius e L'uomo che volle farsi re di John Huston, in cui mette tutto il suo carisma al servizio dell'epica grandiosa di quei film e quei registi, per poi diventare protagonista del bellissimo thriller spaziale Atmosfera zero di Peter Hyams

Tornato nei panni di Bond in Mai dire mai, dove fa mangiare la polvere allo 007 ufficiale dell'epoca, Roger Moore, Connery inaugura negli anni Ottanta una nuova fase ancora della sua carriera: quella in cui, ostentando una barba via via sempre più candida, e giocando esplicitamente con i parrucchini di cui faceva uso già dai primo film di Bond, spinge forte sul suo essere sornione, vecchia volpe, inguaribile spavaldo e seduttore, interprete consumato.
Sono gli anni di Highlander, del Nome della rosa, degli Intoccabili, di Indiana Jones e l'ultima crociata, dove interpreta il ruolo di Henry Jones Sr., il papà di Indiana.

Come molti uomini, e come il whisky proveniente dalla terra che amava, e per cui indipendenza ha sempre lottato, la Scozia, Connery sembrava migliorare con gli anni. Invecchiava, ma invecchiava bene. Benissimo.
Poteva essere il comandante russo disertore di un sottomarino come in Caccia a Ottobre Rosso, il Re d'Inghilterra come in Robin Hood - Principe dei ladri, un medico rifugiatosi nella giungla come in Mato Grosso o un detective impegnato in complesse indagini tra i grattacieli del potere economico di Los Angeles come in Sol Levante, ed era sempre impeccabile.
A quasi settant'anni, poteva tranquillamente permettersi di essere credibile come eroe d'azione in The Rock di Michael Bay, e ladro capace di sedurre Catherine Zeta-Jones in Entrapment.

Ma, ancora una volta, Connery seppe quando e dove fermarsi.
Certo, c'è stato La leggenda degli uomini straordinari (dove ebbe a che ridire lungamente col regista Steven Norrington), ma il suo vero film d'addio al set va considerato Scoprendo Forrester di Gus Van Sant, dove interpreta uno scrittore scozzese ruvido, burbero e introverso sparito dalle scene dopo la vittoria del Pulitzer.
Lui, Connery, l'Oscar lo aveva vinto nel 1988 per Gli Intoccabili, e anche un Golden Globe, ma in fondo i premi gli interessavano poco.
Riservato ma senza peli sulla lingua, e senza timore di far sentire la propria voce, qualunque reazione questa potesse avere, Connery ha potuto permettersi di dire di aver abbandonato la recitazione perché “stufo degli idioti” e perché “la pensione è così dannatamente piacevole”.
Ha trascorso gli ultimi anni impegnandosi per l’indipendenza scozzese, per la salvaguardia dei mari e della vita marina, e godendosi i soldi guadagnati nel corso di una lunga e gloriosa carriera, alle faccia delle polemiche su vere e presunte evasioni fiscali di qualche anno fa. D’altronde lui, che veniva da una famiglia proletaria, il valore del denaro lo conosceva bene.

Ora Sean Connery è morto. Il nuovo film di James Bond - chissà cosa ne avrebbe pensato - è rinviato a chissà quando per la pandemia.
Non ci rimane altro che indossare uno smoking, correre in un bar - prima che scattino le 18 - e ordinare un vodka martini agitato e non mescolato; accenderci una sigaretta e illuderci per l’ultima volta di poter avvicinare in qualche modo quel fascino assoluto che, con lui, è sparito per sempre.



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