sabato 31 ottobre 2020

Sean Connery

Oggi 31 ottobre 2020, a Nassau alle Bahamas, quasi agli antipodi dell'universo che contraddistingue il nostro immaginario cinematografico, si è spento Sean Connery. Gentiluomo, profeta, eroe e outsider al tempo stesso, patriota scozzese per nascita e per scelta, elegante incarnazione di un mondo giunto al proprio definitivo tramonto: quest'uomo dai mille volti e dalla figura così nettamente delineata segna, nell'arco dei suoi 90 anni di vita, una parabola storica che con lui giunge al suo epilogo.

Figlio di un cosmo suburbano tutt'altro che patinato (quello della selvaggia Edimburgo del 1930 dove è nato), Connery possiede quel placido fascino di chi sa come improvvisare, arrabattandosi negli innumerevoli scenari della quotidianità. Giovane recluta, lavapiatti, guardia del corpo, modello: questi i primi ruoli che l'esistenza gli assegna, ad un istante dal varcare il palcoscenico come attore. Dopo il concorso di Mister Universo (1953), in rappresentanza della Scozia, dove si classifica al terzo posto, inizia il suo ingresso nel mondo dello spettacolo in parti sempre maggiori, televisive e cinematografiche, che gli procurarono una discreta notorietà: ad esempio Il bandito dell'Epiro (1957) di Terence Young, Estasi d'amore - Operazione Love (1958) di Lewis Allen, o il film, prodotto da Walt Disney, di Robert Stevenson, il quale lo trasferisce nel verde universo di Darby O'Gill. Ma la grazia moderata e l'impagabile astuzia di quest'uomo così apparentemente enigmatico sono destinate a ben altro – per esempio, a plasmare l'agente segreto più celebre del pianeta: così Connery si trasforma in Bond, James Bond, forse la spia meno discreta che sia mai esistita sulla faccia della terra (ma di sicuro la più salace e geniale). Fra atmosfere caliginose e specchietti per allodole, Agente 007 - Licenza di uccidere (1962) per la regia di Terence Young rivoluziona un intero genere, dissacrandolo bonariamente. Il capolavoro della serie, divenuto ormai un cult del cult, sarà probabilmente Agente 007 - Missione Goldfinger (1964 diretto da Guy Hamilton), in cui una volta per tutte viene trascesa quella logica della probabilità che rilega la detective story nell'anonimato. Attraverso l'allucinata commedia umana di Ian Fleming, Connery diventa il volto della Guerra Fredda e di un'umanità familiarmente tipizzata: chi non si ricorda in A 007, dalla Russia con amore (1963, di Terence Young) della strana lotta fra l'agente segreto e Rosa Klebb (niente meno che Lotte Lenya!) in una camera d'albergo veneziana? Chi non ha mai sognato di accendersi una sigaretta e, con sapiente nonchalance, pronunciare il cognome e il nome più iconici della storia del cinema? Ma non basta: con lo stesso irriducibile aplomb, il giovane Sean riesce a svincolarsi ben presto dal pericolo di diventare il cartonato del suo stesso personaggio. E quale migliore occasione di una collaborazione con Alfred Hitchcock? In Marnie (1964) vediamo l'attore alle prese con gli incubi atroci di una scacchiera femminile ormai corrotta e disturbante, nella quale il protagonista dovrà rimettere ordine.

Da qui in avanti, l'ex agente segreto al servizio (ironia della sorte!) di sua Maestà spiccherà il volo verso i più svariati lidi: così lo ritroviamo nel Far West messicano, al fianco di un'inedita Brigitte Bardot in Shalako (regia di Edward Dmytryk, 1968), ma anche nel caos allegorico delle distopie messe in scena da John Boorman in Zardoz (1974). Abbandonato l'anno 2293, Connery ritorna (quasi) in patria, ma con un certo stile, vale a dire sempre e rigorosamente a bordo di un treno a vapore – che si tratti dell'Orient Express (regia di Sidney Lumet 1974) da Agatha Christie o della locomotiva di Michael Chrichton in 1855 - La prima grande rapina al treno (1979) che strizza l'occhio ad una tradizione cinematografica ben più antica e inaugurata da Edwin S. Porter. Prossimo capolinea, la Scozia feroce e favolistica di Russell Mulcahy, in cui Connery vestirà gli inquietanti panni del protagonista di Highlander - L'ultimo immortale (1986). Ma alla stazione successiva, questo Highlander sotto copertura finirà per rinchiudersi nei tortuosi androni concepiti da Umberto Eco nel suo romanzo forse più celebre, Nel nome della rosa portato sul grande schermo da Jean-Jacques Annaud (1986) in una versione tutta luci e ombre.

L'oscar giunge ad un anno di distanza, nella Chicago sanguinaria di Al Capone: braccio destro antitetico di Eliot Ness (Kevin Costner), l'anziano e disincantato poliziotto Jimmy Malone (non a caso, Sean Connery) riuscirà a minare le fondamenta dell'incrollabile dimora in cui gli Intoccabili di Brian De Palma muovono le proprie fila. Dopo una breve tappa nella giungla di Indiana Jones e di Steven Spielberg, nel 1990 il nostro eroe deciderà di attraversare i resti del muro e di indossare la maschera del capitano sovietico Marko Ramius – corrispettivo serioso e decisamente più realistico del vecchio Bond: nella sua Caccia a ottobre rosso (1990, per la regia di John McTiernan), l'attore donerà una fisionomia allo spionaggio disincantato e tecnologicamente abbacinante dello scrittore Tom Clancy.

Intorno al nuovo millennio, il treno rallenta, fermandosi nella Nottingham medievale di Robin Hood - Principe dei ladri , nel Mato Grosso (1992) del taumaturgo Dott. Robert Campbell, nel Bronx di William Forrester (Gus Van Sant, 2000), fino ad incespicare nelle fantasie fumettistiche di Stephen Norrington e della sua Leggenda degli uomini straordinari (2003). Connery scende dal proprio vagone prima che la corsa si sia arenata del tutto, rifiutando con l'abituale disinvoltura il canto delle sirene pronunciato da maschere tutto sommato scomode, come quella di Gandalf nella trilogia di Peter Jackson o di Albus Silente nel fin troppo saturo calderone griffato Harry Potter. Grazie all'ironico buonsenso e alla proverbiale furbizia che contraddistinguono tanto il mito quanto l'uomo, Sean Connery sa perfettamente quando è il momento di tornare con i piedi per terra e magari accendersi, con sapiente nonchalance, una sigaretta.



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