mercoledì 28 ottobre 2020

Il pianeta del tesoro è stato sottovalutato, parola di uno degli autori

Il pianeta del tesoro di John Musker & Ron Clements è stato uno dei film più sfortunati del canone ufficiale dei Walt Disney Animation Studios: alla fine del 2002 fu un flop massiccio (110 milioni di dollari di incassi per 140 di costo), dividendosi con Taron e la pentola magica il primato del classico che la major voleva nascondere sotto il tappeto. Glen Keane, che per Il pianeta del tesoro fu uno dei capi-animatori, prima creatore di Ariel, Aladdin e la Bestia, non ci sta: si è lasciato andare in un'intervista con Vulture sulle ragioni del flop e sulla frustrazione sua e del team per come il film fu trattato dalle stesse alte sfere. Leggiamo le sue parole, poi approfondiamole.

Misi cuore e anima nella creazione di quel tipo [Long John Silver, ndr] E poi c'era la connessione di computer grafica e animazione a mano libera in un unico personaggio. Avvertivo che definiva tutto ciò che sono come animatore: cuore, passione, umorismo, sostanza. Tutto in quel personaggio. E vederlo sacrificato in una battaglia politica tra Michael e Roy in quel periodo, in cui il film fu liquidato come "in perdita", dopo penso nemmeno due settimane... nessuno andò a vederlo e, devo dirlo, è uno dei film animati più belli. Silver aveva un'autenticità che a mio parere era davvero rimarchevole.

A cosa si riferisce Glen, che in questo periodo propone il suo esordio alla regia su Netflix, Over the Moon? La fusione tra CGI e animazione 2D, davvero interessante e affascinante ancora oggi, è proprio nel personaggio di Long John Silver: in questa versione semi-sci-fi del romanzo di Stevenson, l'iconico pirata ha infatti un braccio cibernetico, mosso in CGI dall'animatore Oskar Urretabizkaia, ora alla Moving Picture Company. Oskar si coordinò al fotogramma con Keane, che invece disegnò la parte "organica" di Long John: l'intesa sullo schermo è perfetta e acrobatica.
La "battaglia politica" a cui si riferisce Glen è invece quella tra Michael Eisner, allora CEO della Disney, e Roy E. Disney (nipote di Walt), in quel periodo nel consiglio di amministrazione e legato alla produzione dei film animati. Roy contestava la gestione dell'azienda da parte di Eisner, pur spinta da lui a metà degli anni Ottanta, mentre Eisner puntava ed esautorarlo da posti di rilievo. La campagna di Roy per salvare la Disney, portata avanti tra il 2003 e il 2005, alla fine riuscì a spodestare Eisner, piazzando Bob Iger al comando e portando dal 2006 la dirigenza Pixar (Lasseter e Catmull) ai vertici pure dei Walt Disney Animation Studios, ponendo le basi della rinascita, ma spegnendo in tempi nemmeno troppo lunghi la tradizione dell'animazione a mano libera nell'azienda.



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