domenica 25 ottobre 2020

Festa di Roma - Film di chiusura: COSA SARA'

Narrare in termini credibili la parabola discendente di chi si scopre in bilico fra la vita e la morte, è quasi sempre un'impresa ardua: nella maggior parte dei casi, bisogna ammetterlo, il rischio è quello di sfociare in un pietismo ipocrita e, a tratti, persino troppo intransigente. Fin dalla prima inquadratura di Cosa sarà , tuttavia, ci si accorge subito di quanto la voce di Francesco Bruni (reduce dai malinconici equilibri già messi in scena in Tutto quello che vuoi) risulti sincera e piacevolmente onesta, scardinando alcuni fastidiosi cliché di genere. Il regista, qui nei panni del proprio alter-ego dal nome fin troppo parlante, Bruno Salvati, (un bravissimo Kim Rossi Stuart) ci dona un autoritratto schietto e tutto sommato inaspettato, ripercorrendo le difficili fasi di un cammino doloroso e solitario. Quando al protagonista viene diagnosticata una forma di leucemia, la sua già di per sé instabile routine – di regista e artista incompreso, di padre separato, di figlio abbandonato, di eterno fanciullo – comincia ad incespicare e a muoversi su binari paralleli. Solo la scoperta di una sorellastra segreta (Barbara Ronchi) gli indicherà la strada da percorrere per raggiungere la luce in fondo al tunnel, letteralmente trasfondendogli una nuova esistenza e curando le ferite umane accumulate nel corso degli anni.

Cosa sarà rifiuta qualsiasi dispotica categorizzazione: non si tratta di una commedia, ma nemmeno di una tragedia dalle tinte oltremodo melodrammatiche. Sorrisi amari e attimi di smarrimento si alternano con una moderazione e una leggerezza che solo uno sceneggiatore sapientemente versatile si dimostra in grado di ricreare. Attraverso la via crucis del personaggio, Francesco Bruni ci fa rivivere l'esperienza della malattia, del viaggio interiore e sofferto all'interno dei ricordi d'infanzia, del confronto con i propri cari. Il racconto si struttura su vari piani e oscilla dal presente al passato, mettendo in comunicazione il tempo senza tempo del ricovero e quello cronologicamente organizzato della quotidianità: l'espediente del flashback, spesso e volentieri abusato, acquista qui un valore narrativo ben preciso e contribuisce a rinvigorire l'intensità con cui gli eventi si sprigionano dal grande schermo.

Dietro e davanti la cinepresa, l'autore intesse realtà dei fatti e romanzo con una consapevolezza schiva e destinata a rimanere in sordina: non c'è un solo momento in cui l'attenzione dell'obbiettivo si distolga dalla concretezza che caratterizza le vicende dei personaggi, così come non emerge nessuna vera digressione sul rapporto fra l'uomo e il suo lavoro nel cinema – e questo è, da un lato, un peccato, dall'altro un'enorme fortuna perché rende il tutto molto più scorrevole e molto meno autoreferenziale. La malattia non è mai, neanche per un istante, trattata alla stregua di un banale espediente narrativo, ma traina l'intero arco spaziotemporale su cui s'innestano gli eventi: vediamo il piccolo Bruno giocare con le macchinine, per poi ritrovarlo disteso su un letto d'ospedale. L'attimo dopo, lo scorgiamo a cena con i figli, al ristorante con il suo produttore, ma non appena ci siamo abituati all'ironica normalità di queste giornate da trentenne in salute, ripiombiamo nell'allucinata angoscia delle visite, della terapia, delle percentuali mediche con cui i referti separano la vita dalla morte. Eppure, la pellicola mantiene una sua delicata stabilità, introducendo nei punti giusti quell'inquieta levità tanto introvabile nel mondo reale quanto facilmente reperibile su negativo. Se allo spettatore non è concesso conoscere nei dettagli il lavoro di Bruno, egli è tuttavia posto davanti a quello di Francesco, all'elasticità tutta cinematografica con cui battuta e tragedia s'alternano come se nulla fosse.

Riuscitissima anche l'istantanea che il film ci lascia del protagonista, qui ritratto nel puerile egoismo e nelle innumerevoli fragilità che contraddistinguono l'uomo, non certo l'eroe di una commovente favola con morale annessa. La diffidenza nei confronti del padre (Giuseppe Pambieri), l'imbarazzo provato osservandosi nel ruolo del genitore, l'attaccamento morboso alla sfera femminile e materna della sua esistenza fanno di Bruno un individuo in carne e ossa. Non si sa se, al termine del proprio percorso di guarigione, egli sarà pronto a cambiare: probabilmente no. Probabilmente non è necessario. Ed è qui che la malattia lascia spazio alla persona, senza giudicarne la natura e soprattutto senza condannarla ad un'espiazione immeritata o, come ripete la figlia di Bruno (Fotinì Peluso) fumando nervosamente una mezza sigaretta, priva di un vero e proprio motivo.

(Cosa sarà); Regia e sceneggiatura: Francesco Bruni; fotografia: Carlo Rinaldi; montaggio: Alessandro Heffler; interpreti: Kim Rossi Stuart (Bruno), Lorenza Indovina (Anna), Barbara Ronchi (Fiorella), Giuseppe Pambieri (Umberto), Raffaella Lebboroni (Paola Bonetti), Fotinì Peluso (Adele), Tancredi Galli (Tito), Elettra Mallaby (madre di Bruno); produzione: Palomar e Vision Distribution; origine: Italia 2020; durata: 101'.



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