Dovrebbe arrivare a fine anno in Italia per la Good Films il bel film di Matt Ross intitolato Captain Fantastic visto a Berlino, dove è uscito questa settimana, dopo la presentazione prima a Sundance, poi a Cannes (dove Matt Ross ha preso il premio per la migliore regia nella sezione Un certain regard), quindi in una decina di altri festival.
Protagonista assoluto del film è un eccellente Viggo Mortensen che interpreta Ben, un padre che ha deciso di allevare i suoi sei figli al di fuori della civiltà, nelle foreste dello stato di Washington. I figli rispondono ai nomi, vagamente nordici, di: Bodevan, Kielyr, Nai, Rellian, Vespyr, Zaja, nomi che vogliono e devono assolutamente essere unici.
Tutta la prima parte del film illustra con dovizia di particolari la giornata tipo di questa famiglia atipica, unica appunto: caccia (il film inizia con l'uccisione del cervo da parte del figlio maggiore Bodevan, arcaico rito di passaggio), corse fra i sentieri erti e impervi, ginnastica nelle radure, alpinismo nelle pareti a strapiombo, ma poi – una volta tornati a casa, beh casa, al campo base - cucina, musica insieme, letture (a seconda dell'età George Eliot, Dostoevskji, saggistica varia), con discussioni sui grandi temi della vita. Tecnologia? Zero. A quest'idillio, qua e là leggermente coercitivo, mette fine ben presto la notizia che la madre, affetta da sindrome bipolare e internata in un centro vicino alla villa unifamiliare dei suoi genitori in New Mexico, si è uccisa tagliandosi le vene dei polsi. Già questo dolore immenso, questo lutto minaccia di mettere in crisi la comunità, un figlio soprattutto, il più recalcitrante, sembra in qualche misura dare la responsabilità al padre dell'accaduto: lo stile di vita forse non ha agevolato la guarigione della madre, anzi ne ha peggiorato le condizioni. Ma è questo solo il prologo al grande conflitto che da qui in avanti si innesca: il conflitto fra il padre e il suocero in merito alla cerimonia funebre. Il primo vorrebbe, in linea con le ultime volontà della defunta, che si professava buddhista, procedere alla cremazione e a una assolutamente irrituale dispersione delle ceneri (nel wc di un luogo affollato!), il secondo vuole una cerimonia religiosa tradizionale, con tutti i crismi e la comunità locale raccolta intorno al feretro, nella cittadina dove la donna era nata. La famiglia allora monta su un pulmino attrezzatissimo che ha anche un nome, tradizionale stavolta, ossia Steve, e decide di fingere di partecipare al funerale ma in realtà di andare a “liberare” la salma. Questo, diciamo così, è il conflitto superficiale, quello profondo è un altro: è il conflitto non tanto fra natura e civiltà, perché i rappresentanti della natura magari soltanto sul piano teorico la civiltà, la legge, la politica la conoscono eccome (peraltro si professano, secondo diverse declinazioni, antifascisti e marxisti), ma piuttosto il conflitto, secondo noi oggi più che mai di oggettiva centralità, fra originalità e omologazione. Quel che vale per i loro nomi, vale anche per i loro comportamenti, opportunamente guidati dal padre che li tratta, di fatto, da adulti senza sottrarre loro dettagli sulla morte, sul sesso e su tutte le altre cose importanti della vita. Non festeggiano il 25 dicembre il ritorno di Babbo Natale, quel pagliaccio a cui non crede più nessuno, ma il 7 dicembre il compleanno di Noam Chomsky, padre ideale, illuminata figura del progresso e della civiltà.
Il rientro nella cosiddetta civiltà, via road-movie, provoca attriti e irritazioni, che producono momenti di esilarante comicità, come quando, strada facendo, a casa della sorella della defunta, sposata e con due figli omologati e seriali, si viene durante la cena a menzionare la parola “Nike”, inteso come brand, marca di scarpe, e i figli di Ben allibiscono chiedendosi cosa c'entri la dea greca della vittoria. Qui il film dà davvero il meglio di sé, fino all'esplosione del conflitto, a casa del suocero/nonno, interpretato in modo assai sfaccettato da Frank Langella. Non ci dilungheremo sulla conclusione del film, basterà dire che è un po' dolciastra e – diciamo così – hegeliana, tesi, antitesi, sintesi. Il film ha un ottimo ritmo, Matt Ross, regista ma anche sceneggiatore, è stato bravissimo a caratterizzare tutti i ragazzini in modo diversificato. Viggo Mortensen, come detto, è talmente bravo che potrebbe rientrare nella short list degli Oscar. Il tema è davvero di quelli tosti, e lo spettatore viene deliberatamente sballottato a stare ora dall'una, ora dall'altra parte. Si chiama dialettica, e qui funziona proprio bene.
(Captain Fantastic). Regia: Matt Ross sceneggiatura:Matt Ross; fotografia: Stéphane Fontaine; montaggio:Joseph Krings; interpreti: Viggo Mortensen (Ben), George Mc Kay (Bodevan), Nicolas Hamilton (Rellian), Kathryn Hahn (Harper), Frank Langella (Jack) produzione:Electric City Entertainment, ShivHans Pictures origine: USA 2016; durata: 118'
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