Nel 1987 il film di Franco Amurri sorprese, proponendo l'attore in un ruolo tenero e delicato, in una vera fiaba per famiglie piena di humor.
Nel Natale del 1987 il pubblico italiano trovò sotto l'albero una fiaba cinematografica: s'intitolava Da grande, era diretta da Franco Amurri e interpretata da Renato Pozzetto. Elemento particolare nella carriera dell'attore, questo ruolo gli ha portato la sua seconda e unica candidatura ai Nastri d'Argento, dopo che la prima nel lontano esordio di Per amare Ofelia (1974) si era trasformata nel premio. Se si guarda alla filmografia di Pozzetto, si scoprono nello stesso 1987 Noi uomini duri e Roba da ricchi. Poco dopo nel 1990 insieme a Paolo Villaggio avrebbe dato vita alla trilogia delle Comiche di Neri Parenti, di fatto l'ultimo atto di una sua alta popolarità al botteghino. Insomma, le volontà poetiche e delicate di Da grande apparvero in effetti al pubblico meno attento un'eccezione totale, nel taglio farsesco degli impegni di Pozzetto in quel periodo.
Era davvero così inaspettato che Renato Pozzetto si misurasse con questa storia e questo registro? Il suo Marco, bambino di otto anni che si sente trascurato e per magia si ritrova il corpo di ultraquarantenne, viene abitato da Pozzetto con una naturalezza che - è un complimento - non sembra frutto di uno sforzo particolare. E' però frutto di una sensibilità che raramente come in questo caso è stata valorizzata: per chi si era presentato nel mondo dell'intrattenimento italiano con una forte matrice surreale (in compagnia di Cochi Ponzoni), una storia con elementi fantastici era perfettamente eseguibile. Non solo: qualunque artista ami slegare le sue performance dalla logica, non potrà che capire perfettamente un bambino, perché lo incarna costantemente.
Lo ammettiamo: difficile pensare che il Pozzetto legato alle commedie con avvenenti attrici dell'epoca potesse adattarsi a una commedia per famiglie fiabesca. E' però più naturale immaginare che vi potesse addattare, al netto delle espressioni più colorite, il creatore del delirante primo episodio di Io tigro, tu tigri egli tigra (1978).
Da grande è un cult movie non soltanto perché vi compare Ilary Blasi da bambina, in una tenera scena dove Marco si rivela (chissà perché) un perfetto babysitter. Si sprecano le situazioni in cui, col paradosso, si rimpiange la semplicità del pensiero infantile contro la spietatezza dell'età adulta che verrà. Ricordiamo l'agognato acquisto del Lego poi mancato, quando si scopre che non basta "avere i soldi" ma bisogna anche averne a sufficienza (di qui un pianto disperato). Anche la complessità sentimentale è lontana: Marco rivela all'amata maestra Francesca di avere una sorellina molto piccola. "Ah, è di secondo letto!" commenta lei... e vi lasciamo scoprire o ricordare l'interpretazione del nostro eroe.
Si ride e ci si commuove con la sceneggiatura di Amurri e Stefano Sudriè, secondo diverse fonti alla base del Big con Tom Hanks, uscito nel giugno 1988 negli States: sostanzialmente la stessa vicenda calata nella società americana. E' davvero un remake non autorizzato? In realtà si tratta di un piccolo giallo, un fotofinish: per uscire a giugno, il film di Penny Marshall doveva essere già in piena lavorazione all'uscita di Da grande in Italia, nel Natale precedente. Si dovrebbe supporre, immergendosi nel complottismo, che gli sceneggiatori americani fossero venuti a conoscenza da qualche fonte dell'idea di Amurri, legato agli States in quel periodo perché compagno di Susan Sarandon dal 1984 al 1988. Non abbiamo però prove, quindi non rimane che pensare a un'assai curiosa coincidenza.
In ogni caso, Da grande e il suo toccante finale non hanno bisogno di orgogli nazionalistici per farsi ricordare con piacere: e questo si deve moltissimo allo stile tutto personale del suo interprete.
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