domenica 24 novembre 2019

L’ufficiale e la spia: un nuovo gioiello nato dalla penna di Robert Harris, uno scrittore che meriterebbe più attenzione


Nuovo collaborazione di Roman Polanski con uno scrittore che secondo noi è fra i grandi autori di questi decenni.

È stata giustamente molto elogiata la sequenza iniziale de L’ufficiale e la spia di Roman Polanski. Bella e suggestiva, permette allo spettatore di vivere subito la pubblica umiliazione di un ufficiale alsaziano, Alfred Dreyfus, scrupoloso nel suo lavoro, poco simpatico, incolpato di spionaggio col nemico per il solo fatto di essere ebreo. Come sa chiunque ha letto il romanzo di Robert Harris che ha ispirato il film, sulle pagine era tutto descritto, inquadratura per inquadratura, gesto per gesto. Un’annotazione che ci sentiamo di fare, non certo per sminuire la rilevanza del lavoro registico di Polanski, ma per sottolineare come Robert Harria sia uno dei maggiori narratori di questi decenni, un grande scrittore, spesso relegato nel ghetto della letteratura thriller, di genere, di spionaggio, con superficialità.

Tra l’altro i due, Polanski e Harris, avevano già collaborato in The Ghostwriter, L’uomo nell’ombra, e L’ufficiale e la spia era già stato pensato come una nuova collaborazione fra i due, fin dalla scrittura del romanzo. Il titolo è sempre stato An officer and a Spy, con letterale traduzione in italiano nell’edizione Mondadori. Sono quindi fuori luogo alcune critiche lette in queste settimane sui social per non aver lasciato il titolo originale del film, J’accuse. Ovvio che in Francia ci si concentrasse maggiormente sui riferimenti all’affaire Dreyfus, studiato nelle scuole e ancora vivo nella memoria condivisa del paese, seppure come ferita non cicatrizzata.

In questi giorni il film è uscito in sala e si sta facendo valere, come merita, ma ci sentiamo in questa sede anche di consigliarvi di allargare la vostra conoscenza di Harris recuperando alcuni suoi veri classici. Perché non partire, ad esempio, dai suoi primi romanzi, una trilogia ideale di storie ambientate sullo sfondo della del nazismo, del comunismo sovietico e della Storia della Seconda guerra mondiale, quella composta da Fatherland (il suo esordio capolavoro), Enigma (sulla decifrazione britannica dei codici segreti nazisti) e Archangel, sul fronte russo. Tre thriller fra storia e spionaggio che lo hanno lanciato negli anni ’90 nel novero dei grandi autori. Vi basteranno poche pagine per capire come lo spessore e la qualità di scrittura lo facciano risaltare rispetto alla media degli scrittori di thriller. C’è poi un’altra serie, una trilogia dedicata a Cicerone e all’antica Roma, che è appena uscita in una nuova edizione omnibus tascabile, come tutti gli altri per Mondadori. Sono, Imperium, Conspirata e Dictator i tre romanzi, sempre su notevoli livelli.

Il tutto in attesa di un adattamento, perché no?, del suo penultimo lavoro, Munich, ancora una storia inventata ambientata durante un evento cruciale della storia, come la conferenza di Monaco del 1938 e l’ostinata politica di appeasement portata avanti soprattutto dal britannico Chamberlain, il quale continuò a credere ciecamente, contro ogni evidenza, a una possibile diga diplomatica per frenare la brama espansionistica del Reich hitleriano. Poche settimane fa, poi, personalmente l’abbiamo pronto sul comodino, è uscito il nuovo romanzo, Il sonno del mattino, ambientato nell’Inghilterra di fine ‘400. Non mancano, quindi, le occasioni per farvi un'idea in prima persona sulle qualità di uno scrittore secondo noi da non sottovalutare, penna nobile della narrativa degli ultimi trent'anni.



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