sabato 23 novembre 2019

Al Torino Film Festival 2019 parte il concorso, con una coraggiosa donna tunisina e deludenti note elettroniche

Primi film per la competizione della 37° edizione del Torino Film Festival.

Mentre il cielo, indifferente, continua a scaricare da due giorni una pioggia fitta e molto torinese, il festival si lascia alle spalle l’apertura con JoJo Rabbit, tra una risata e una riflessione, proponendoci i primi film del concorso. Un’inizio un po’ sottotono, va detto, in attesa di avere naturalmente un campione più ampio su cui esprimerci.

Si è partito con un film cileno, l’opera seconda Algunas bestias di Jorge Riquelme Serrano, che prometteva interessanti variazioni etiche, con diverse generazioni di una famiglia che vivono in un’isola remota del sud del paese. L’impossibilità di allontanarsi, premessa quasi da fantascienza post apocalittica, è sviluppata con un piano realismo iniziale che mette in scena dinamiche di serena quotidianità, presto pronte a lasciar spazio alle bestialità nei rapporti fra un piccolo gruppo di persone costretto in uno spazio limitato. Un microcosmo che somiglia, è chiaro fin da subito, alla società cilena più ampia, in cui l’individualismo preme contro il rispetto dell’altro e il potere rimane il cuore delle relazioni fra i componenti di questa realtà. Violenza, abusi sessuali, prevaricazione economica e sociale, non mancano gli spunti di riflessione per un film che non mantiene quanto premette, rischia di banalizzare il gioco un po’ sadico, non calibrando in pieno i momenti in cui lasciare intendere e quelli in cui esplicitare. L’ambientazione può ricordare il The Club di Larrain, ma il talento del direttore d’orchestra non è decisamente a quel livello. Alfredo Castro sembra imprigionato anche lui, nel dover interpretare personaggi sempre più abietti.

I ritmi della musica elettronica sono al centro del secondo film del concorso, Le choc du futur, che racconta dall’interno di un piccolo appartamento parigino, sintetizzandola in una giornata, la rivoluzione che portò alla fine dell’epoca d’oro del rock e il boom della musica elettronica, che di pari passo con quella tecnologica iniziò a regalare melodie e musica generate semplicemente premendo pulsanti e tirando delle leve, senza il bisogno di strumenti musicali veri e propri. “Ho provato con la chitarra, ma gli strumenti classici non fanno per me”, dice a un certo punto la protagonista assoluta del film, Ana, interpretata da Alma Jodorowsky, nipote di Alejandro. Uno dei problemi principali del film, a dirla tutta, incapace coml'è di sostenere interamente il film, sorprendentemente priva di senso del ritmo, legnosa e pronta a commenti prematuri e banali quando ascolta melodie appena abbozzate o poche parole di testo. “Fico”, “grandioso”, “davvero super”, sono queste le perle di saggezza che ci regala, con uno sguardo spesso laconico e la testa che si muove appena in su e in giù.

Sigaretta d’ordinanza sempre accesa, classico strumento per aiutare un’attrice in difficoltà, è pronta a stupirci con due espressioni: con occhiali o senza. Le choc du futur si prende molto sul serio, con tanto di scritta esplicativa finale che rivendica la dignità della nascente e maltrattata electro music, ed è diretto da Marc Collin, cofondatore dei Nouvelle Vague. Qualche comprimario fa visita ad Ana, prima di una festa serale che metterà alla prova la sua voglia di tenere duro e diventare una vera musicista, in un film che banalizza la creazione artistica, riducendola a una specie di accidente improvviso, un’eureka miracoloso. Non aiutano la messa in scena e una serie di luoghi comuni sul crederci fino in fondo formulaici e poco interessanti.

Il miglior film di questa prima ondata del concorso è senz’altro il tunisino Le reve de Noura, che racconta per l’appunto il sogno di una donna di mezz'età di seguire il suo cuore e poter divorziare da un marito mediocre e in carcere, che non ama più, per poter vivere alla luce del sole la sua sincera passione per un altro uomo, finora suo amante, senza rischiare i cinque anni di prigione previsti dalla legge tunisina per gli adulteri. Non sarebbe una storia socialmente veritiera se la cosa fosse facile, infatti la scarcerazione anzitempo del marito le complicherà i piani, ritrovandoselo per casa prima dell’avvenuto divorzio formale, insieme ai tre figli. Monta una tensione destinata a esplodere, con lo scoramento alle viste da parte di chi chiede un'altra, o forse la prima, possibilità alla vita e all’inflessibile bigotteria della società in cui vive. Molto semplicemente, vuole essere felice. Molto brava la protagonista in cerca di emancipazione, Hend Sabri, nell’opera seconda semplice, ma sincera, appassionata e credibile di Hinde Boujemaa.



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