Dopo molti anni e milioni di copie vendute dei suoi thriller, arriva finalmente il primo adattamento di un romanzo di Giorgio Faletti, compianto personaggio dai mille talenti. Non è Io uccido, il suo maggior bestseller, ma Appunti di un venditore di donne (edito da La nave di Teseo), che Luca Barbareschi ha prodotto per Eliseo Multimedia, insieme a RAI Cinema e collaborando con la vedova dello scrittore, Roberta Bellesini.
Diretto da Fabio Resinaro, è in arrivo in prima visione assoluta su Sky Cinema Uno venerdì 25 giugno alle 21.15 e poi sarà disponibile on demand e in streaming su NOW. “Ho conosciuto Faletti per vie traverse, ma sono soprattutto lettore entusiasta dei suoi libri”, ha dichiarato Barbareschi in una presentazione stampa del film. Appunti di un venditore di donne mi ha colpito più degli altri, perché aveva un archetipo, un tema enorme come quello di Crono che mangia i figli. La mia generazione ha avuto padri ingombranti e importanti, molti hanno sacrificato le generazioni a venire, talvolta come pessimi padri e fiancheggiatori del terrorismo per crescere di potere e posizione nella società. C’era tanto nel libro: il terrorismo e soprattutto la storia di un uomo, che si presenta con la prima frase, 'io mi chiamo Bravo e non ho il cazzo'. È stato evirato, ha subito una violenza terribile. Il suo stato diventa metafora di una generazione. Resinaro ha capito l’importanza della storia e nel film Mario Sgueglia e Miriam Dalmazio sono splendidi protagonisti, capaci di mostrare sfumature straordinarie di dolore interno, cosa non facile. Poi è arrivato il senatore, il “grande vecchio” interpretato da Michele Placido, e il dipinto si è completato. Aveva la gravitas giusta per quel personaggio.”
Pubblicato nel 2010, Appunti di un venditore di donne è il quinto romanzo di Faletti, rimasto per lungo periodo nella classifica dei libri più venduti. Siamo nel 1978, in una Milano notturna e da bere, dove la mala, comandata da Vallanzasca, che tira fino a mattina in locali accanto a uomini di potere, un impero che vuole fare i conti con la realtà, nei giorni del rapimento di Aldo Moro. “Il mondo della luce sembra ignorare quel che succede la notte. Ma la storia insegna che le due sfere sono permeabili e penetrabili e quando questo accade, gli eventi sono quasi sempre devastanti.” Bravo (Mario Sgueglia) vive la sua vita tra locali di lusso, discoteche e bische clandestine in compagnia dell’amico Daytona, interpretato da Paolo Rossi. Bravo si definisce un imprenditore. Il suo settore sono le donne. Sì, perché lui le vende. Ma la vita di un venditore di donne non è facile. E l’arrivo di Carla, interpretata da Miriam Dalmazio risveglia in lui sensazioni sopite da tempo.
Una storia cupa e malinconica, che così ha raccontato il regista. “Il romanzo raccontava atmosfere precise e ben descritte, la sfida era ricrearle. Milano ora è diversa, molto moderna, ho scelto di girare come fossimo negli anni ’70, senza pormi alcun limite, sapendo di dover intervenire poi con gli effetti digitali per ricostruire i fondali. La sensazione, in questo modo, è di un’immersione in quegli anni. Bravo si aggira in una Milano da bere che ho cercato di ricostruire con molti riferimenti d’epoca, con nei neon anche esagerati, per stilizzare e creare compattezza visiva. È una città notturna, che racconta di criminali disobbedienti, anche se il protagonista è una sorta di infiltrato, ma ha un piano, e mi piacciono sempre i protagonisti con un piano per rivoluzionare un sistema che opprime. Sapevo di aver capito la storia e sentivo il personaggio nel profondo, con uno scontro generazionale e la metafora dei padri che hanno schiacciato i figli, oltre a un sistema opprimente con decisioni calate dall’alto da un potere contro cui bisognerebbe fare qualcosa.”
“Mi fa tenerezza questa Milano che non c’è più”; ha aggiunto Barbareschi. “La Milano del Derby, con il personaggio che si chiama Daytona come l’orologio d’oro che indossa. L’ho conosciuta quella realtà, con una mala pericolosa, ma che giocava a dadi all’Arena, fra jazz e arte contemporanea, fra persone che non volevano andare a letto, specie d’estate con un caldo infernale. Di notte era bello andare in giro, incontravi tutti, delinquenti, mignotte o balordi, insieme alla borghesia meneghina. Un pezzo di quella Milano che non esiste più ma c’è fra i nostri protagonisti”.
“Io al Derby c’ero, c’ho lavorato”, ha precisato sornione Paolo Rossi. “Quello che nel film è Daytona, il mio personaggio, l’ho conosciuto, si chiamava Le Mans, perché faceva traffichi con le macchine. Ho lavorato in quel locale per cinque anni, anche con Faletti, sempre eclettico, scriveva, oltre a fare il comico, e per un periodo si è messo anche a fare il cantautore. Allora si chiamava cabaret, oggi stand-up. Non avevamo il microfono sull’asta, ma ci esibivamo a voce libera, in un ambiente molto borderline, che ha influenzato sicuramente Giorgio, fra gente perbene e ragazzi non proprio bravi. Era tipico di quel teatro canzone milanese, ispirato da quella malavita molto spiritosa, detta ‘la leggera’. Poi negli ultimi anni tutto cambiò, io c’ero quando ci fu una retata al Derby, ne misero dentro 60, io con pochi altri fui risparmiato, credo di aver contribuito a mandarne in galera parecchi, perché ho fatto fare un giro a un tipo che conosceva molto bene il teatro comico, che poi ho scoperto essere uno della narcotici sotto copertura. Mi ha pure regalato un cane che non erano riusciti ad addestrare. Ma io abitavo in una piazza al centro dello spiazzo, e quando si è messo a saltare addosso a mezzo quartiere l’ho chiamato e ho detto di venire a riprenderselo, che era addestrato bene, in realtà. È stato particolare recitare in un ambiente e dei locali che ho vissuto veramente”.
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