Scelto per l'inaugurazione della settantaquattresima Mostra del Cinema di Venezia, Downsizing di Alexander Payne, va subito detto, delude e affossa il ricordo del fulgore di La La Land, che aveva aperto la rassegna del Lido lo scorso anno iniziando la sua trionfale carriera conclusa con sei Oscar, compreso quello per la regia. Per la prima mezz'ora tutto sembra funzionare a meraviglia, e uno stato di letizia pervade il cuore e lo sguardo, accompagnati da una perfezione di regia che non perde nemmeno un'occasione per cadenzare il racconto con tocchi scintillanti e dettagli immaginifici che sfruttano appieno l'idea visiva fortissima del rimpicciolimento in laboratorio degli esseri umani, proposto da un team di scienziati norvegesi per ovviare ai problemi e agli inconvenienti di una crisi energetica mondiale a serio rischio di sputtanamento definitivo del Pianeta. L'inedito (ma in fondo nemmeno troppo) immaginario cinematografico di Payne aggiunge suggestioni convincenti al ricordo dei lillipuziani di Swift, dell'Incredible shrinking man di Jack Arnold (e della woman di Joel Shumacher), e dello Zio Paperone disegnato dall'italiano Romano Scarpa, che rimpicciolisce i suoi impiegati con un raggio inventato da Archimede Pitagorico per risparmiare su spazi e materiali. Se il film avesse proseguito, per i suoi restanti 90 e passa minuti, nell'illustrare questo “mondo piccolo” reinventato secondo i codici di una felicità terrena da Truman Show, avrebbe forse raggiunto un risultato assai più convincente della parabola in cui, dopo una buona mezz'ora, vira malauguratamente per naufragare in un confuso racconto tirato per i capelli tinteggiato di ecosostenibilità, buonismo, e risvolti politici e sociologici che presto scivolano nell'imbarazzante e nell'inutile, spacciando per urgente un'emergenza da fine del mondo che, in tempi di folli Presidenti USA suonano come il quotidiano al lupo al lupo che viralmente ci infesta le bacheche di facebook e ci porta istintivamente a far scattare la disattivazione delle notifiche. Occasione perduta per un regista che, dopo esordi notevoli e promettenti, non riesce più ad acquisire una fisionomia e un peso tali da conquistarsi un posticino sul podio dei grandi autori “popolari” del cinema USA, accanto a papà Spielberg e zio Ron Howard. Non si contano, da un certo punto in avanti, le falle imperdonabili: prima fra tutte il sottoutilizzo di Christoph Waltz, che si ritrova ad annaspare senza sapere che fare né dove guardare per dare corpo al suo personaggio, quasi oscurato dal molto più rifinito cammeo di Udo Kier: a entrambi spetterebbe il ruolo di smontare, da esotici e decadenti Europeans, l'edulcorato American Dream di Leisureland, la colonia in cui va a rifugiarsi Matt Damon (il solo che sembra credere davvero alla fallimentare operazione imbastita da Payne) per far fronte a una vita di debiti, bollette e frustrazioni economiche. Ma le infelici intrusioni nell'orwelliano disincanto dell'altra faccia di un finto e idealizzato mondo di palestre, massaggi e campi da golf, spezzano la magia, e il film miseramente frana in una malgestita e poco attraente denuncia degli oggettivi e attuali mali del vivere contemporaneo, per spegnersi in un poco opportuno pianissimo in diminuendo (causa dei timidi e imbarazzati applausi che hanno accolto il termine della proiezione stampa) dopo una delle più brutte e sconcertanti battute conclusive della storia del cinema (vedere per credere…).
(Downsizing); Regia: Alexander Payne; sceneggiatura: Alexander Payne, Jim Taylor; fotografia: Phedon Papamichael; montaggio: Kevin Tent; musica: Rolfe Kent; interpreti: Matt Damon, Christoph Waltz, Udo Kier, Kristen Wiig; produzione: Annapurna Pictures; distribuzione: Paramount Pictures, Annapurna Pictures; origine: USA, 2017; durata: 135'
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