Chi se ne frega di come Luca Guadagnino ha trattato il copione di Dario Argento e Daria Nicolodi, di come lo ha stravolto e trasformato. Quelle sono considerazioni che lascio volentieri a tifosi e fanatici, a quelle frange di ossessionati che, stando a quanto avviene quotidianemente sui social, sembrano essere diventate maggioranza nel pubblico del cinema e non solo.
Anche perché, al netto di certe scene, ma anche considerando quelle, questo Suspiria qui non è un vero horror. Nemmeno un horror tutto d’astrazione e d’atmosfera come quello del 1977.
Proprio da quella data è partito, Guadagnino, costruendo “Sei atti e un epilogo” che sulla trama argentiana, stravolta, innesta questioni legate alla RAF e alla Banda Bader-Meinhoff, e pure quelle sul senso di colpa e la vergogna che stavano (e speriamo stiano) ancora lì, nel retro del pensiero del popolo tedesco, per quanto avvenuto negli anni del Nazismo e dell’Olocausto. Colpa e vergogna dalle quali questo Suspiria assolve chi è in grado di provare amore: amore puro, e longevo.
Di cosa parla, allora, Suspiria? Parla d’amore? Sì, certo: Guadagnino alla fine parla sempre di quello. Parla della storia tedesca? Solo in funzione di altro, verrebbe da dire. Parla di streghe? Eccome, certo che lo fa: e quindi - non mi fraintendano le femministe col dente avvelenato - parla di donne e di femminilità, di sessualità, e perfino di maternità. Perché la Mater Sospiriorum non è certo l’unica madre che conti, in questo Suspiria. In un film che lo mette in chiaro fin da subito inquadrando un quadro all’uncinetto che recita “Una madre è quella che può sostituire tutti, ma che è insostituibile.”
L’horror è poco più che un pretesto, per Guadagnino, per portare avanti i discorsi che gli interessano. Per giocare un po’ col cinema, e con la tensione, con risultati notevoli in alcune scene (quella dove la Susie di Dakota Johnson danza per la prima volta, e gli effetti del suo danzare su un’altra ragazza sono raccapriccianti), meno in altre (una sorta di carnage pre-finale un pelo troppo alla Rob Zombie).
Forse, alla fine della fiera, quello che veramente esplora Luca Guadagnino in questo film - e che gli importa come e quanto la consueta notevolissima cura formale, visiva, del décor, dei costumi - è la dialettica tra purezza e corruzione. Nelle idee (le simpatie rivoluzionarie di Patricia), nel rapporto con la fede (Susie è una Amish che ha ripudiato il suo credo), in quello con la madre (quella di Susie che l’ha ripudiata, oltre poi a tutte le altre), ovviamente nell’Amore (quello dello psicanalista per la moglie scomparsa, certo, ma anche quello di Madame Blanc per Susie).
In fondo, sembrerebbe, anche nel cinema.
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