Il 25 settembre compie 50 anni Willard Carroll Smith Jr., per gli amici e per tutto il pubblico che lo ama Will Smith. Una carriera di intrattenitore a 360° che forse è stata percepita in modo diverso tra l'Italia e gli Stati Uniti, dove il buon Will si fece conoscere nella seconda metà degli anni Ottanta prima di tutto come rapper.
Le cronache ci narrano infatti che è il 1985 quando Will incontra sulla sua strada l'amico Jeffrey Townes, un turntablist (l'evoluzione più creativa del dj), e insieme fondano il gruppo DJ Jazzy Jeff & The Fresh Prince, che presto include un terzo elemento, Clarence Holmes. In cinque anni e poco più, la band sfonda nel mondo hip-hop con successi come Girls Ain't Nothing But Trouble, I Dream of Jeannie, Parents Just Don't Understand e Summertime, uscito quando ormai Will ha intrapreso una nuova carriera... suo malgrado. Pare infatti che una delle ragioni che spinge Smith ad accettare la sitcom Il principe di Bel Air (1990-1996) siano un'evasione fiscale e una multa sonora da pagare al più presto.
Fatto sta che Will prende gusto alla recitazione, la serie funziona e accende la scintilla della fama non musicale oltreoceano, seppur in Italia posticipata al 1993, quando le stagioni del Principe cominciano a essere trasmesse. I primi passi cinematografici destano una certa invidia: Bad Boys (1995) segna l'inizio del cinema alla Michael Bay con la coppia Smith-Martin Lawrence, Independence Day (1996) è corale ma lui spicca. Men in Black del 1997, dove Smith crea un'altra coppia col ben diverso Tommy Lee Jones, ribadisce le altre cifre al boxoffice. Dopo bombe di questa portata, è comprensibile che Will dichiari chiusa la sua esperienza con la band, anche se la musica continuerà a essere sempre nei suoi pensieri: basti pensare alle canzoni dell'album di quest'ultimo film, come "Black Suits Comin' (Nod Ya Head)" e "Men in Black", hit soprattutto grazie alla sua disinvoltura vocale e al suo carisma. Sempre nel 1997 dà vita a uno dei matrimoni più longevi dell'ambiente, quello con l'attrice Jada Pinkett-Smith.
La storia cinematografica di Smith tuttavia vive grazie anche alle capacità dell'attore di imparare dai suoi errori: Wild Wild West (1999), che dovrebbe seguire la scia di Men in Black, floppa clamorosamente. Will allora cambia direzione drasticamente, sceglie un biopic, addirittura di una leggenda come Cassius Clay / Muhammad Alì, e si fa dirigere da Michael Mann in Alì (2001): Oscar e Golden Globe si avvicinano con due nomination. Smith diventa una personalità che nemmeno i più accaniti cinefili possono ormai ignorare.
Forse nemmeno Willy pensa di poter replicare a breve termine questo exploit, e infatti negli anni successivi persegue solo blockbuster che gli garantiscano un posto al sole a Hollywood, anche in zona sequel: Men in Black II (2002), Bad Boys II (2003), ma anche Io robot (2004) e la commedia romantica Hitch (2006).
E' la quiete prima della tempesta: è lui a insistere per avere alla regia Gabriele Muccino in La ricerca della felicità (2006), storia vera di un self-made man disperato, un sogno americano distorto ma alla fine con orgoglio rimesso in careggiata. Lo interpreta con il suo vero figlio Jaden Smith. Ancora una volta Oscar e Golden Globe sono sfiorati, però quel che conta è che Smith è ormai una calamita per gli incassi e un simbolo di resilienza e fiducia in se stessi. Cerca di usare al meglio la sua situazione: il fantascientifico Io sono leggenda (2007) è un record d'incassi in USA, mentre in Hancock (2008) è un supereroe decadente apprezzato dal pubblico. Qualche tema odora di Scientology, ma già nel 2005, pur lodando alcuni aspetti del credo di L. Ron Hubbard, Will ha smentito di avervi aderito. I successi di opere come queste e Men in Black 3 (2012) gli consentono un esperimento forte come il dramma di Sette anime (2008, ancora di Muccino).
Si può collocare intorno al 2013 un giro di boa: c'è la palpabile sensazione che Smith sia passato da beniamino a semplice star come tante, tra alti e bassi. Il desiderio di spingere la carriera di suo figlio Jaden lo porta a sopravvalutarlo in After Earth e a dissipare la benevolenza raccolta con La ricerca della felicità. Lo Smith attuale di Suicide Squad e Bright ha ancora la capacità di reggere la scena con forza e personalità, ma la sensazione è che l'ambiente stesso non lo idolatri più come un tempo. Non lo ha aiutato la performance tra le righe nell'interessante Zona d'ombra (2015), colpevole di attaccare i lati oscuri del football e di conseguenza film poco pubblicizzato e poco noto. I remake Disney stanno aiutando tutti: il ruolo del Genio in Aladdin sarà il rilancio definitivo?
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