Amici d’infanzia finiti sui versanti opposti della legge. Quante volte abbiamo visto varie declinazioni di questo stesso canovaccio? Questa volta è il francese David Oelhoffen a proporla, senza farsi ossessionare dall’ansia dell’originalità a tutti i costi, e curando soprattutto la messa in scena, che è nervosa il giusto, nelle riprese e nel montaggio, ma senza esagerare.
Da un lato c’è Reda Kateb, che è bravo come al solito ma forse un po’ col pilota automatico, e che fa il ragazzo cresciuto in periferia che è diventato un poliziotto della Narcotici che utilizza la conoscenza di quel mondo e quelle persone per il suo lavoro.
Dall’altro Matthias Schoenaerts, che rifà ancora una volta il ruolo che gli riesce meglio, quello del ragazzone duro fuori e tenero dentro, spacciatore che suo malgrado deve fare un po’ squadra col vecchio amico, che aveva ripudiato, per uscire da una situazione spinosa.
Senza troppe sfumature, in Frères ennemis ci troviamo di fronte allora a tutto quello che ci si può aspettare: grossi quantitativi di coca, qualche sparatoria, qualche morto ammazzato, corse contro il tempo, l’ex dello spacciatore - affettuosissimo col figlio - che lo ama ancora ma che non può tollerare il suo stile di vita, i genitori del poliziotto che non gli hanno perdonato il “tradimento”, la forza dei legami amicali al maschile, e la Grande Famiglia Allargata del quartiere che prima ti abbraccia e poi, in caso, ti pugnala.
Quello di Oelhoffen, allora, è cinema di genere solido, abbastanza canonico, che sconta la mancanza di una personalità forte e definita, e che, se va fino in fondo lungo la strada maledetta della vendetta, fatica ad aprire il cuore ai sentimenti forti e contrastanti che vivono i suoi protagonisti, separati non solo dalla legge e dagli anni, ma anche dal reciproco senso del dovere e dal codice d’onore che condividono.
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