È già successo nel 2018, quando Un giorno di pioggia a New York (capolavoro, e non credete a chi dice altrimenti) non era stato distribuito da Amazon per via degli attacchi al suo autore che arrivavano dal clan Farrow, e per vederlo abbiamo dovuto aspettare il novembre del 2019, quando uscì in Italia grazie a Lucky Red.
E quest'anno ci siamo di nuovo. Stavolta la colpa è della pandemia, ma il risultato è lo stesso: salteremo il tradizionale appuntamento annuale con un film di Woody Allen. Rifkin's Festival doveva uscire in sala il 5 novembre con Vision, poi i cinema sono stati chiusi di nuovo (mentre non si sa bene perché un sacco di altri posti rimangono invece aperti), e quindi siamo rimasti nuovamente privi della dose stagionale di droga alleniana.
Per carità, c'è di peggio, coi tempi che corrono.
Ma per noi fan di Woody è l'ennesima piccola, grande sfortuna in questi mesi già piuttosto difficili. Anche perché, coi tempi che corrono, il rischio è che davvero Allen, come dichiarato in passato, possa smettere di fare film e deliziarci col suo genio.
Cosa fare allora, oltre ad armarci di pazienza e aspettare che Rifkin's Festival possa uscire nei cinema?
Rivedere i tantissimi film che Allen ha girato nel corso di una carriera quarantennale, certo. Leggere o rileggere la sua recente autobiografia, intitolata "A proposito di niente".
Oppure, scelta più insolita, se volete, andare a recuperare Crisi in sei scene, la miniserie scritta, diretta e interpretata da Allen per Amazon, nella fase aurorale dell'accordo tra il regista e la divisione produttiva della società di Jeff Besoz, che trovate disponibile in streaming su Amazon Prime Video, e che non ha avuto forse l'attenzione che meritava.
Crisi in sei scene: la trama
In Crisi in sei scene (composta da sei episodi di una ventina di minuti l'uno, per un totale di visione di circa due ore: davvero quasi come un film diviso in puntate) Woody Allen interpreta il ruolo di Sidney Munsinger, copywriter di spot pubblicitari, autore di sit-com e romanziere con il nom de plume di S.J. Munsinger. Nell'America degli anni Sessanta, attraversata da contestazione e controcultura, e scossa dalla guerra in Vietnam, il Sidney di Allen vive una vita placidamente borghese nella bella casa appena fuori New York dove vive con la moglie Kay (una leggenda della comicità ameriana come Elaine May) e dove ospita il figlio di un caro amico, Allen (John Magaro), che sta per sposarsi con la bella Ellie (Rachel Brosnahan, pre-Mrs. Maisel).
Le sue poche preoccupazioni sono legate al taglio di capelli, alla serie che vuole piazzare a un network, e alla sua ipocondria, da perfetto personaggio alleniano qual è. E tutto questo è destinato a cambiare radicalmente quando in casa Munsinger fa irruzione - letteralmente - la giovane Lennie Dale (Miley Cyrus, proprio lei, non un'omonima), giovane rivoluzionaria bombarola fuggita dal carcere e in cerca di rifugio sicuro prima di tentare l'espatrio alla volta di Cuba.
Va da sé che Sidney non è per nulla contento dell'arrivo di Lennie, che ha scelto casa Munsinger perché Kay era amica di sua madre e la conosce fin da quando era bambina: primo perché uno come lui non vuole avere problemi con la legge, secondo perché Lennie ha un appetito insaziabile e si mangia tutto il suo cibo preferito. E poi Lennie, nevrotica anche lei, a modo suo, ma carismatica, sembra spingere al radicalismo tutta la sua famiglia: dalla moglie Kay, che inizia a proporre alle signore del suo book club libri su Marx, la guerriglia urbana e il libretto rosso di Mao, al giovane Allen, che s'infatua di Lennie e della sua passione politica e sembra voler gettare alle ortiche i suoi piani di matrimonio con Ellie.
Un ritorno alle origini
Molti di voi forse l'avranno fatto, ma c'è ben poco da sorprendersi di fronte al fatto che anche Woody Allen si sia dato alle serie tv. La tv è stata una parte importantissima della carriera di Allen, prima di diventare regista cinematografico. E, guarda un po', il lavoro come autore di sketch e serie televisive di Allen avveniva proprio negli stessi anni in cui è ambientata Crisi in sei scene. Gli stessi, anche, in cui Elaine May lavorava in coppia con Mike Nichols, e i tre si frequentavano e stimavano reciprocamente.
Per Allen la miniserie è quindi un ritorno al passato, alle origini del suo lavoro, con però tutta la consapevolezza del presente e dei tanti anni di esperienza maturati. La struttura è quella di una sit-com, l'umorismo anche: non c'è praticamente nulla dell'Allen più drammatico e filosofico, ma tutto l'Allen comico, di una comicità che non è solo quella delle battute e dei dialoghi (che farebbero comunque l'invidia di moltissimi sceneggiatori più giovane e rampanti) ma che, episodio dopo episodio, diventa anche fisica, e legata agli spazi, alle situazioni, agli equivoci.
Senile? Forse, ma consapevolmente
Certo, bisogna ammettere che di fronte a Crisi in sei scene, si percepisce una certa senilità. Anche perché, sia da parte sua che da parte di May, e di altri personaggi, l'anzianità dei personaggi - fisica e mentale - è chiaramente esibita, e serve da contrasto con le nevrosi giovanili e politiche di Lennie.
Ma si tratta, appunto, di una senilità consapevole, gestita e controllata da Allen, che pare volerla rispecchiare anche nell'ambientazione autunnale della storia, che contagia anche i colori e i ritmi della messa in scena. Anche nel suo mettersi in scena come attore, cosa che qui Allen ha fatto per l'ultima volta, sembra evidente la voglia di rappresentare la sua vecchiaia, il suo sentirsi sempre più fuori sincrono con i tempi in cui vive: in cui vive Sidney nella serie, e in cui vive lui nel nostro presente. E, allo stesso tempo, la sua capacità di rimanere al passo grazie alla sua intelligenza e alla sua arguzia.
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Non è mai troppo tardi
Crisi in sei scene non è Manhattan, non è Crimini e misfatti e non è Un giorno di pioggia a New York. Non è Mrs. Maisel né Fleabag, tanto per rimanere in ambito di serie televisive comedy. Con il suo andamento così démodé, che più che puramente teatrale è appunto quello delle serie di una volta, è chiaramente il divertissement di un autore inesauribile che, tra Café Society e La ruota delle meraviglie, ha voluto cimentarsi con un formato narrativo che non frequentava da anni, riuscendo a infondervi tutto il suo talento comico da un lato (perché a tratti fa molto ridere, e il tono è sempre deliziosamente divertente) e la sua intelligenza. Intelligenza che si manifesta discretamente nei toni e nelle sfumature, e che si esibisce più sfacciatamente nel finale. Solo Allen, infatti, poteva chiudere un racconto così autunnale facendo sì che, con speranza verso il futuro e autoironia assieme, il suo Sidney si convinca che non è mai troppo tardi, e che ha ancora davanti a sé il tempo e la voglia di provare ad avvicinare S.J. Munsinger al suo mito J.D. Salinger, lasciando perdere quelle sciocchezze delle serie televisive.
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