In libreria il nuovo lavoro del critico di Cineforum e FilmTv, in cui racconta un genere forse troppo sottovalutato con passione cinefila e una tonnellata di titoli e riferimenti.
Siamo stati sempre convinti, perlomeno dalla fine degli anni Sessanta a oggi, che il genere cinematografico capace di fare da cartina al tornasole, o da sismografo, dei sommovimenti e delle trasformazioni, delle pulsioni e delle correnti della nostra società, fosse l'horror. Il che è vero. O, dice qualcuno, è stato vero fino a poco tempo fa; fino a quando il genere non si è "ripiegato [...] tanto in un autocitazionismo nostalgico fine a se stesso, quando in una cinefilia commerciale senza sbocchi."
A dirlo è il critico Pier Maria Bocchi, collaboratore di Cineforum e FilmTv e selezionatore del Torino Film Festival, molto attivo sui social: uno che all'horror, per dire, ha dedicato tempo e attenzione prima e più di tanti altri, e che quindi sa di cosa stia parlando
A prendere il posto dell'horror come "genere capace di parlare della realtà", dice Bocchi, è stato il neo-noir, genere oramai riconosciuto dalla critica e anche accademicamente che ha raccolto e trasformato l'eredità del noir classico, che ha chiuso il suo ciclo verso la fine degli anni Cinquanta (L'infernale Quinlan di Orson Welles, 1958, è considerato l'ultimo dei noir), e che ha visto film come Detective's Story di Jack Might del 1966 e Senza un attimo di tregua di John Boorman del 1967 la rinascita in una nuova veste del genere, rilanciandolo per farlo arrivare fino a noi, attraversando confini, cinematografie, influenze, stili e decenni.
Tutto questo, e molto altro, Bocchi lo sostiene in un agile volumetto dalla straordinaria densità di titoli e riferimenti intitolato "Brivido caldo - Una storia contemporanea del neo-noir", pubblicato da Rubbettino e nelle librerie al prezzo tutto sommato contenuto di 14 euro.
Nel suo nuovo libro, Bocchi si propone di effettuare una mappatura del neo-noir che superi un approccio storico o cronologico ma avvenga attraverso lo studio di alcune "macro-idee" e degli "snodi tematici" che siano in grado di "raccontare un genere sia nelle sue dinamiche economiche e produttive, sia quale rappresentazione del mutamento del pensiero, della società e dello spettatore, sia come campanello d'allarme per le sensibilità sociali."
Per farlo, divide il suo testo in cinque capitoli: il primo dedicato alla figura della femme fatale; il secondo riguarda "l'attore come centralità focale del neo-noir"; il terzo riguarda la geografia del genere, e come i luoghi siano ben più di uno sfondo e anzi impattino i soggetti dei film; il quarto studia, anche alla luce delle teorie queer, la rappresentazione del maschio e del maschile nel neo-noir; il quinto e ultimo racconta sei "segni caratteristici del neo-noir per delineare una sintesi e insieme disegnare una mappa del genere".
I primi quattro capitoli partono tutti da un unico film, il Basic Instinct di Paul Verhoeven, considerato da Bocchi il titolo che "incarna i tratti essenziali e le linee guida del neo-noir in quanto genere cinematografico", e che ne rispecchia "l'ideologia in un momento storico-critico". Da quel punto di partenza comune, Bocchi persegue il suo disegno (che è quello del neo-noir) snocciolando una quantità sorprendente e quasi eccessiva di titoli e riferimenti che vanno dalla fine degli anni Sessanta ai giorni nostri, e che riguardano il cinema (rigorosamente neo-noir) americano, francese, italiano, spagnolo, hongkonghese, giapponese e di tante altre nazionalità.
Nel segno di una passione cinefila sincera e contagiosa.
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