lunedì 3 settembre 2018

Venezia 75 - At Eternity's Gate -

I film sugli artisti, contemporanei o del passato, hanno sovente il sapore di biografia didascalica, di lezioncina filmata. Eternity's gate di Julian Schnabel presente in concorso al festival di Venezia, ha caratteristiche molto diverse: uno stile di regia sporco e accurato allo stesso tempo, la macchina da presa sovente in movimento, si muove addosso al corpo di Willelm Defoe che interpreta un Vincent Van Gogh magro e doloroso, instabile e inquieto, bisognoso di amore da tutti, anche dalle persone sbagliate. La tecnica di pittura dell'artista olandese all'epoca della sua esistenza appariva sbagliata, sgradevole, incapace secondo i canoni tradizionali: le pennellate violente, la pittura materica, stratificata sulla tela oltre la sua stessa bidimensionalità, la scelta di soggetti banali come un paio di scarpe malridotte. Van Gogh - ci viene raccontato - nei momenti di estrema e precisa lucidità, aveva consapevolezza del suo essere fuori tempo, di dipingere per coloro che avrebbero visto le sue opere dopo la sua morte. L'ossessione maniacale per il paesaggio, per la luce, la necessità di usare il pennello per non pensare le esigenze creative e vitali dell'uomo che - come dice verso il finale al prete del manicomio - asserisce “sono nato pittore: è l'unica cosa che so fare”. Van Gogh muore il 27 luglio del 1890 senza aver mai venduto un quadro in vita. “Una vena di follia è una benedizione per l'arte” dichiara un medico che lo stima e che posa per lui negli ultimissimi tempi. Pazzo geniale, infelice e misconosciuto passa l'intera esistenza nella sofferenza (“devo lavorare per dimenticare me stesso” riconosce in una ammissione di incapacità di albergare la sua anima inquieta). Una scena potente è quella della camera ardente: una bara bianca, che è quasi un bozzolo, circondata di tantissime tele dall'artista dipinte, una specie di esposizione postuma in diretta. “I quadri devono essere fatti di getto, in un solo gesto” controbatte a un Paul Gauguin (unico amico artista come lui) che cerca di convincerlo a rallentare. Una natura saturata nei colori, ripresa come violenta espressione di sé, fonte di energia epifanica per l'artista, rappresentata come quadri, ogni inquadratura un'esplosione di vita dominante invade lo spettatore di bellezza primitiva, non pacificante, dirompente. Bistrattato, picchiato, rinchiuso in una camicia di forza, nulla riesce a bloccare il flusso e l'irruenza fragile di un Defoe trasformista. Circondato di figure di passaggio e marginali, impeccabilmente recitate da Mathieu Amalric, Mads Mikkelsen, Niels Arestrup, Emmanuelle Seigner (qui identica alla Sandrelli). Sceneggiato dal regista Schnabel con Jean-Claude Carrière e Louise Kugelberg (che firma anche il montaggio), compone un'opera personale sull'essere artisti, rivelando cosa sia, per per lui e per Van Gogh, la creatività: unico sbocco sano ad un disagio primario interiore. “Tutti i pittori sono pazzi.”; “Solo quelli bravi”: un dialogo che è un manifesto. Un film su un artista fatto da un artista, come solo un artista sa fare.
(Una chicca: i quadri di Van Gogh sono stati dipinti da Schnabel, Edith Baudrant e dallo stesso Defoe)

(At eternity's gate); Regia: Julian Schnabel; sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Julian Schnabel, Louise Kugelberg; fotografia: Benoît Delhomme; montaggio: Louise Kugelberg, Julian Schnabel; musica: Tatiana Lisovskaya; interpreti: Willem Dafoe, Rupert Friend, Oscar Isaac, Mads Mikkelsen, Mathieu Amalric, Emmanuelle Seigner, Niels Arestrup; produzione: Rahway Road Production (Jon Kilik), Iconoclast Production; origine: Usa, Francia, 2018; durata: 110'



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