giovedì 6 luglio 2023

Mission: Impossible - Dead Reckoning Parte Uno: la recensione del film

L’incipit è a bordo di un sommergibile (bene). Un sommergibile russo nel mare di Bering che a bordo ha “l’arma definitiva”. Nel sonar appare un altro sommergibile, americano, non si capisce bene che succeda, è subito un po’ Caccia a Ottobre rosso. Il vascello russo viene colpito da un suo stesso siluro e i cadaveri dell’equipaggio salgono verso i ghiacci.
Che strano. Che cupo questo inizio, e che aria vagamente lo-fi che ha. Anche l’arma definitiva, che abbiamo capito essere qualcosa d’informatico, di digitale, Christopher McQuarrie la mette in scena in modo un po’ rétro. Sarò io, ma mi ha ricordato HAL 9000.
Poi passiamo a Amsterdam, in una grande casa vuota e buia tagliata da lame di luce. Da lì, da quel buio, come un Kurtz qualsiasi, come in un Rembrandt (siamo pur sempre a casa sua), emerge Ethan. Lasciamo perdere che Cruise è invecchiato, concentriamoci su Hunt. Un Hunt in apparenza stanco, senza la minima traccia di sorriso. Al fattorino che gli gli consegna “la cena”, la nuova missione che deve o non deve accettare, Ethan dice con ghigno amaro “Bevenuto nell’IMF”. Come a dire: affari tuoi figliolo.

Insomma. Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte 1 si apre nel segno di una cupezza, di presagi nefasti, quasi, che non abbandoneranno mai davvero il racconto nemmeno nei momenti più avvincenti e scatenati (che poi compongono la maggio parte del suo notevole minutaggio), o in quelli di alleggerimento comico (che pure non mancano, e in maniera decisamente più marcata di quanto avveniva nei precedenti episodi della serie).
E però, se in Fallout questa cupezza - che lì si manifestava per la prima volta - si percepiva un po’ posticcia, nonostante fosse un po’ meno evidente, qui è decisamente più integrata e sostanziale. Fondativa, verrebbe da dire. Forse perché perché Fallout, col senno di poi, era un film cerniera tra il fenomenale Rogue Nation e questo primo Dead Reckoning. In termini tematici, ma anche estetici.

Anche l’immagine infatti, qui, è in qualche modo più cupa. E questo ha qualcosa a che vedere con la storia che racconta.
Con la storia personale di Ethan, dal cui passato emerge un altro lutto traumatico, e il cui presente è sempre più gravato dalla responsabilità che sente e che ha nei confronti della vita (del restare, in vita) di coloro che ha a cuore.
E con la storia del film, con la sua trama, che s’incentra - semplifico al massimo - nella forsennata ricerca di una chiave che potrebbe permettere il controllo o lo spegnimento (chissà) dell’arma definitiva dell’inizio: un’intelligenza artificiale sofisticatissima che è diventata sensiente, autonoma, e che minaccia di dominare il mondo. Un mondo schiavo del digitale, e quindi alla mercé di un’Entità (così viene chiamata nel film) in grado di far vedere, leggere, credere, pensare quel che vuole a chiunque.

Allora è già arrivato il momento di dire che Mission: Impossible Dead Reckoning - Parte 1 - che sappiamo arrivare al cinema dopo un lungo iato dovuto alla pandemia, che è stato girato a Roma tre anni fa, e che quindi è stato scritto ancora prima - è il film che conferma quella straordinaria capacità che può avere il grande cinema popolare hollywoodiano di intercettare le istanze del presente prima ancora che entrano da protagoniste nel dibattito pubblico. E di dire, quindi, che quello di McQuarrie è un film di straordinaria attualità nel parlare delle minacce insite nell’AI, e di come queste tecnologie possano sempre più creare un mondo digitale (che è sempre più il nostro unico riferimento) inesistente nella realtà, e quindi modellare e indirizzare la nostra percezione del reale. Un film sulla post verità, anche.

Non a caso di continuo i personaggi del film parlano di “un mondo di bugie”, che è quello dello spionaggio, certo, ma non solo.
Non a caso nessuno è certo, meno ancora di quanto avveniva in precedenza, delle intenzioni degli altri, o di chi sia amico o chi nemico.
Non a caso Hunt viene definito dal personaggio di Shea Whigham (splendido caratterista che è una delle new entries di rilievo in questo nuovo M:I), un agente della CIA che va a caccia di Ethan e che diventa sempre più incerto di essere nel giusto, come “un mentalista mutaforma incarnazione del caos”. Che potrebbe essere una definizione assolutamente calzante dell’Entità stessa.

Ora. Vi starete giustamente chiedendo perché questa trama ha a che fare con una forma un po’ più cupa, e comunque diversa, di questo capitolo di M:I rispetto ai precedenti: perché Dead Reckoning parte 1 è un film che pare, nonostante tutto, voler enfatizzare il potere e l'importanza dell’analogico, come l’analogico diventa necessario rifugio nella trama. E quindi il look del film di McQuarrie è un look molto più vicino a quello del cinema analogico che non al digitale, in senso storico. E in tutto questo, la nota ossessione di Tom Cruise di voler eseguire i pericolosissimi stunt della serie in prima persona diventa un ulteriore tassello analogico, una nota di coerenza interna alla serie che qui diventa, anche, coerenza tematica.

Ciò detto, eravamo rimasti a Amsterdam.
Da lì ci spostiamo nel deserto arabico, e poi nell’aeroporto di Abu Dhabi (sequenza notevolissima) e poi a Roma, dove McQuarrie trova il modo di far evolvere il concetto di inseguimento d’auto giocando al rialzo e al ribasso (il basso godibilissimo di una 500 gialla, vecchio modello, ma apparentemente elettrica) allo stesso tempo. E poi c’è Venezia, sui cui ponti si consumano tragedie cui non avremmo mai voluto assistere, ma che in qualche modo erano annunciate, e poi una lunghissima parte finale a bordo dell’Orient Express che attraversa le Alpi austriache (e qui arriva il famoso salto di Ethan con la moto giù della montagna: girato però in Norvegia) e che si conclude con una sequenza vertiginosa e incredibile. Dove certamente il digitale ha giocato un ruolo, ma dove ancora una volta questo M:I pare voler ribadire l’importanza di un approccio, perlomeno, che rimanga analogico all’azione e alla spettacolarità.

Non molla la presa un secondo, Dead Reckoning parte 1.
Non solo per l’indubbia, estrema spettacolarità delle scene d’azione (Roma, il treno), ma anche perché è dominato da un sentimento cinematografico che mi pare di poter definire quasi hitchcockiano, perlomeno nell'ispirazione: nel gioco costante di identità, di ruoli, di verità, e soprattutto nell’idea di far stare sempre lo spettatore (e i protagonisti) in tensione per via di una minaccia, circostanziata o immanente, che sentono vicinissima. Tensione è la parola chiave del film.

Al gruppo base di Ethan (i soliti Benji e Luther, e la splendida Isla della bellissima Rebecca Ferguson, questa volta un po’ sacrificata), il nuovo M:I innesta il personaggio di Haley Hatwell, che si presenta come un’abilissima ladra, proprio come il personaggio di Thandiwe Newton nel sottovalutato secondo M:I di John Woo, e che si adatta abbastanza in fretta alla sarabanda di vicende in cui finisce.
Di Shea Whigham ho già detto, ma ancora non ho detto di un altro nuovo personaggio, notevolissimo, a lungo senza nome (e non ve lo rivelerò di certo qui io), interpretato dalla Pom Klementieff che è la Mantis dei Guardiani della Galassia, qui alle prese con un ruolo completamente diverso. L’attrice canadese è il letalissimo braccio destro di tal Gabriel (Esai Morales), a sua volta emanazione in carne e ossa dell’Entità.  Una che dà la caccia a Ethan per le strade di Roma a bordo di un blindato dei Carabinieri con stampato in faccia un ghigno esaltato tale da farla sembrare uscita dritta dritta da un film di Takashi Miike di una ventina d’anni fa, e che continuerà a dare la caccia al nostro eroe a lungo, e che giocherà un ruolo centrale nella vicenda.

Insomma. Per me, che non lo avevo amato, un bel passo avanti rispetto a Fallout, come costruzione, come trama, come ideologia di fondo. Resta da vedere come questo dittico finale della serie di M:I andrà a concludersi, e se tutto il buono seminato da McQuarrie e Cruise e compagnia in questo film qui troverà modo di trasformarsi in qualcosa di notevole anche nell’oramai già attesissimo Dead Reckonig parte 2.



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