A più di un mese dalla sua uscita, Joker continua ad imporsi all’attenzione degli spettatori nelle sale italiane. Il film di Todd Phillips, premiato alla Mostra del Cinema di Venezia quest’anno, porta sullo schermo l’intensa interpretazione di Joaquin Phoenix, in una pellicola che ha scioccato i più per la sua “violenza”. È stato giustamente notato, tuttavia, come la violenza di cui Gotham è invasa non abbia un ruolo secondario, ma dia anzi un fondamentale contributo allo sviluppo della vicenda, che segue la discesa di Arthur Fleck nella follia.
Quando Arthur Fleck diventa Joker e la maschera diventa il volto, la persona diviene personaggio, come si evince dalle parole del protagonista che giunge alla conclusione di stare vivendo in una commedia (la mente va alla – qui mancata – agnizione del protagonista da parte di Wayne, elemento tipico della commedia classica antica).
Si pensi alla scena in cui Joker è acclamato dalla folla nella sequenza finale; tutti i volti sono coperti da maschere da clown, tranne uno, il suo, che coincide con la maschera (il legame è organicamente sottolineato dal sorriso, dipinto col proprio sangue). Il conflitto fra volto e maschera, poi risolto nella sintesi fra i due, richiama il meccanismo di base del teatro grottesco, emanazione pratica di quella teoria dell’umorismo che poco più di un secolo fa emergeva dalla poetica dello scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello. Ricordiamo che l’umoristico è la percezione di uno scollamento fra la realtà e la sua apparenza, fra il volto e la maschera. Elemento, quest’ultimo, che nel film è presente in maniera sempre più diffusa, trionfando nelle sequenze che mostrano caos per le strade di Gotham.
“Egli non era più maschera, ma Follia” dice Matilde Spina, riferendosi a Enrico IV, protagonista dell’omonimo dramma che ancora una volta porta la firma di Pirandello; affermazione che potrebbe calzare alla pellicola in questione.
L’avvenuta sintesi fra maschera e volto coincide inoltre con un interessante evento: la risata di Arthur nell’Arkham Asylum, che, ci tiene a informarci il regista, è l’unica ad esprimere sincero divertimento. Alla tale risata, che costituisce quasi un refrain drammatico, Phoenix è in grado di dare un’intensità e una profondità straordinaria, con la propria interpretazione; quella iniziale, nevrotica, evolve dapprima in “un’orribile risata, di rabbia, di selvaggio piacere e di disperazione a un tempo” quando Arthur scopre la verità sul proprio passato. Ma nella sequenza finale, la fusione fra volto e maschera è avvenuta e il protagonista ha abbracciato la propria follia come unico mezzo di rivalsa sulla società. La citazione sopra è tratta ancora una volta da un’opera di Pirandello, la commedia Il berretto a sonagli, di cui costituisce la didascalia finale e in cui il caratteristico berretto del titolo, per una sorprendente coincidenza, rimanda al berretto con cui tradizionalmente sono raffigurati giocolieri, saltimbanchi e folli (in inglese anche jokers).
Basta una conoscenza superficiale delle opere di Pirandello per riconoscere numerose tematiche comuni alla pellicola in questione: la scelta di rifiutare la società e la sensibilità comune, vivendo in uno stato di “follia”, può senz’altro rimandare al già citato Enrico IV, ma anche al Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno, centomila. La vita vissuta come un gioco di ruoli, tema affidato alla colonna sonora del film, con That’s life di Sinatra, che udiamo significativamente negli ultimi fotogrammi, è anche il tema centrale della commedia Il giuoco delle parti.
Pirandello (come altre avanguardie nello stesso periodo) avverte la necessità di rompere con le tradizioni dell’intrattenimento teatrale; lo stesso fanno alcuni registi oggi: queste “coincidenze” ci parlano delle onde lunghe della storia della nostra cultura, che uniscono autori ed arti apparentemente distanti nella continua ricerca di significati nuovi, che parlino all’uomo postmoderno (cui si rivolge Joker), figlio dell’uomo moderno (con cui dialogava Pirandello).
Joker è il tipo di film che rimane nella memoria dello spettatore per la sua eccezionalità, derivante dalla rottura delle convenzioni del genere: un super villain come quello interpretato da Joaquin Phoenix non si era mai visto (per lo meno non nel ruolo di protagonista). Ma, come ho cercato di mettere in evidenza in questo breve articolo, la grandezza di questa pellicola è la sua capacità di dialogare con noi e la nostra storia nei suoi più vari aspetti, dalla commedia antica a Pirandello; insieme ai quali costituisce la moltitudine di fili che s’intrecciano e tessono la trama di ciò che è la nostra cultura ed il modo in cui leggiamo la realtà.
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