Il Festival internazionale del cinema e delle arti I mille occhi, giunto quest’anno alla XVIII edizione, si è distinto ancora una volta per il suo impegno nel riportare all’attenzione degli spettatori pellicole che hanno segnato la storia della settima arte e la cui visione, per essere veramente apprezzata, non può avvenire semplicemente attraverso uno schermo televisivo o informatico ma necessita di una sala cinematografica.
La rassegna, organizzata dal 13 al 18 settembre nella cornice del Teatro Miela di Trieste, ha omaggiato registi, attori e grandi maestri di cui sono state selezionate, con la meticolosità e la passione che sempre contraddistingue questo evento, le pellicole più significative e rappresentative.
Un omaggio particolare, e affettuoso, è stato rivolto a Giuseppe Lippi, scomparso l’anno scorso, noto per essere stato uno dei massimi esperti di fantascienza e fantastico, sia in ambito letterario che cinematografico, e per aver curato la collana Urania Mondadori. In suo ricordo, sono state proiettate due pellicole di Camillo Mastrocinque, La cripta e l’incubo (1964) e Un angelo per Satana (1966), la prima ispirata al racconto Carmilla di Joseph Sheridan Le Fanu e la seconda tratta da una novella di Luigi Emmanuele. In entrambe si percepisce una certa abilità del regista nel portare sullo schermo atmosfere tipiche della letteratura gotica senza banalizzare i personaggi o rendere le inquadrature troppo inverosimili, pur non rinunciando all’associazione horror-sessualità con evidenti riferimenti al lesbismo delle protagoniste. Purtroppo non è stato possibile reperire in nessun archivio La statua vivente (1943), sempre di Mastrocinque, con la triestina Laura Solari, che avrebbe permesso di comporre una perfetta trilogia. L’omaggio a Giuseppe Lippi proseguirà tra ottobre e novembre all’interno del Trieste Science+Fiction Festival.
Franco Piavoli, a cui nel 2016 il Festival parigino Cinéma du réel ha dedicato una retrospettiva, ha ricevuto il Premio Anno Uno ed è stato ospite dei Mille occhi con una serie di pellicole che permettono di tracciare il suo percorso professionale. Dai cortometraggi degli anni Sessanta, Le stagioni, Domenica sera, Emigranti ed Evasi al più recente mediometraggio Festa, passando per opere come Il pianeta azzurro (1982) e Nostos, il ritorno (1989), che lo hanno consacrato come regista capace di ricavare vere e proprie sinfonie dall’associazione tra immagini e suono in cui non conta il significato delle parole (poche) che si percepiscono ma l’emozione che si prova attraverso la fusione dei vari elementi visivi e sonori. Come dichiarato da Sergio M. Grmek Germani, presidente/direttore della rassegna, definirlo “documentarista” non gli rende appieno giustizia poiché il suo cinema va ben oltre la semplice esposizione dei fatti.
Meritevole di attenzione anche l’omaggio rivolto a Nico D’Alessandria con la proiezione di quel Canto d’amore di Alfred Prufrock, presentato nel 1967 come saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, che, riprendendo la poesia dal medesimo titolo di Thomas Stearns Eliot e avvalendosi della voce narrate di Carmelo Bene, cerca di dare corpo a un flusso di coscienza aperto a molte interpretazioni a causa del doppio significato letterale-simbolico che si può attribuire al testo. Anche L’imperatore di Roma (1988) nel suo dipingere una città in decadimento attraverso gli occhi e la vita quotidiana di chi di quel degrado fa davvero parte – Gerardo Sperandini, senza tetto e schizofrenico – diventa espressione di quel cinema indipendente di cui Nico D’Alessandria è stato uno dei principali rappresentanti.
Gradito e divertente l’omaggio a Stanlio e Ollio, di cui la Cineteca del Friuli sta recuperando e restaurando tutto il patrimonio filmico in versione italiana, in grave stato di deterioramento, in modo da poterlo rendere disponibile, in futuro, in DVD e Blu-ray:
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