Quando il cinema non è, come si è soliti pensarlo, un sogno che per due ore ti trasporta in un altro mondo, ma un risveglio dal torpore prosaico e inerte della vita reale e ti trasporta in un altro mondo sul quale hai fantasticato per anni, immaginandotelo in base agli indizi di una cultura avida di conoscerlo e bagnata della nostalgia di non averci mai vissuto personalmente: a questo fa pensare Napszállta (Tramonto), dell'ungherese Laszlo Nemes, in concorso a Venezia 75 con serie possibilità di premio. Il delicato passo dell'opera seconda, dopo lo sconvolgente Il figlio di Saul che a Cannes tre anni fasi portò a casa il Grand Prix della Giuria, era tra gli eventi più attesi della Mostra del Lido, e per quanto riguarda chi scrive, l'esito è ben più che straordinario.
Chi ha visto Il figlio di Saul conosce l'idea che del cinema ha il giovane regista ungherese (41 anni lo scorso febbraio), e del suo modo singolare di immergere lo spettatore in una realtà dai contorni indefiniti e sfuggenti, lasciati appositamente fuori fuoco ai margini dell'inquadratura, affidando a volte soltanto al sonoro l'espressione palpabile della effettiva portata drammatica degli eventi. Se però nel capolavoro sull'Olocausto e sulla tragedia dei Lager nazisti un criterio simile era motivato dall'intenzione di rappresentare in maniera inedita orrori fin troppo noti e documentati senza incappare – per precisa scelta etica e morale – nella necessità di ‘ricostruire' uno sguardo ormai obliterato dall'immaginario comune, e dipingere dunque sullo schermo un incubo dove trascinare fisicamente lo spettatore con la materializzazione dell'esperienza ‘fisica' della detenzione moltiplicando la suggestione delle immagini con la pratica del togliere, del cancellare allo sguardo per amplificare la percettività degli altri sensi, in Napszállta l'occultare la scena, o quantomeno limitare la visione dello sfacelo dell'Europa, volontariamente votata al suicidio nel momento del suo apogeo politico e culturale all'inizio del ‘900 (cioè il crepuscolo della ‘Felix Austria' dell'Impero Asburgico) occupando gran parte dell'inquadratura con la nuca della protagonista femminile che vaga per le vie di Budapest alla ricerca di un proprio passato familiare che qualcuno ha manipolato fino a cancellarlo, mostrando sullo sfondo dettagli confusi e a malapena percettibili di un mondo che sarebbe pleonastico e proditorio illustrare calligraficamente come in un qualunque film commerciale in costume o in una fiction televisiva finanziata da un network particolarmente facoltoso, diventa stavolta un incantamento che solo il cinema e i suoi insuperati poteri affabulatori possono arrivare a realizzare. Negli innumerevoli mini-piani sequenza di cui Napszállta è composto si verifica il miracolo di ricreare la distanza psico-fisico-temporale con la Budapest del 1913, cioè alla vigilia della deflagrazione mondiale della Grande Guerra, dando forma concreta, con la grana impastata della pellicola utilizzata per girare il film in luogo delle ormai consuete attrezzature digitali, all'imprendibilità di un passato impossibile da ricordare e da rivivere. Tutto questo non è, come ahimè molti hanno sconsideratamente denunciato, esercizio manieristico fine a se stesso. Basterebbero quei primi minuti, quando dall'interno della cappelleria dove si apre il racconto, si intuiscono attraverso le vetrate del negozio gli esterni cittadini bagnati dalla luce sovraesposta dell'obiettivo: è impossibile, per coloro sui quali il ricordo di una Mitteleuropa letteraria, musicale e artistica esercita una fascinazione irresistibile, morbosa e struggente, non avvertire un'altrettanto malata curiosità di uscire dal negozio, e proiettarsi in strada a respirare quell'epoca che la macchina del tempo del cinema ci sta restituendo come illusorio eppure realistico paesaggio dell'anima platonicamente riesumato dai polverosi cassetti della memoria. Chi abbia frequentato le pagine degli scrittori viennesi, ungheresi, boemi descrittive di quel mondo sulla via della dissoluzione, non potrà non riconoscere ambienti, profumi, ritualità private e pubbliche, modalità di comportamento e di pensiero appartenenti a un mondo letterario intriso di una nostalgia consustanziale alla sua sopravvivenza nel nostro ricordo. Poco importa se nel flusso, anzi nella trance lungo la quale il racconto procede come una sonda che avanzi schivando e aggirando gli ostacoli solidi di una realtà che si percepisce come materia onirica e indefinita, la chiarezza degli eventi e degli snodi del racconto si perde nella stessa nebulosa di cui è fatto l'incanto che irretisce la visione. Chi ha bisogno delle ‘storie', della ‘trama', degli ‘intrighi' si rivolga alla fiction di stampo televisivo, dove un intreccio sembra scaturire per partenogenesi dalla stessa esigenza di ‘intrattenere' più a lungo possibile un pubblico in cerca di ‘distrazione'. Nel cinema di Nemes, come nella vita di ognuno, gli eventi si avvicendano in un caotico accumulo senza che da niente e da nessuno ci arrivino elementi necessari a darcene logica spiegazione. Sono rari quei film, e Napszállta è uno di questi (altri titoli che possono rispondere a simili requisiti sono Senso di Visconti e Arca Russa di Sokurov, e davvero la lista potrebbe interrompersi qui), in cui l'illusione che una macchina da presa odierna sia riuscita a scavalcare il tempo e calarsi in un'epoca tanto lontana dalla contemporaneità, risulta così vivida e tangibile. ...Poi, se a film finito, si riesce anche a rimettere insieme il magmatico flusso della memoria sollecitata da tante suggestioni visive e sensoriali, verrà spontaneo raccogliere il mònito dolente di chi ravvede in quel Cupio Dissolvi che avvelenò e distrusse l'Europa all'inizio dello scorso secolo la stessa, identica pulsione suicida che scriverà i prossimi capitoli di una Storia tutt'altro che finita, come qualcuno, con azzardo evidentemente inopportuno e frettoloso, aveva decretato prima dell'11 settembre 2001.
(Napszállta (Tramonto)); Regia: Laszlo Nemes; sceneggiatura: Laszlo Nemes, Clara Royer, Matthieu Taponier; fotografia: Matyas Erdely; montaggio: Matthieu Taponier; musica: Laszlo Melis; interpreti: Juli Jakab, Vlad Ivanov, Evelin Dobos, Marcin Czarnik; produzione: Laokoon Filmgroup; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia, Ungheria, 2018; durata: 142'
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