Anche all’interno di una scuola attoriale come quella francese, in cui cinema e teatro si alternano spesso, senza pregiudizi reciproci, la figura di Fabrice Luchini si distingue. Lo si trova di frequente in scena nei principali teatri parigini e come protagonista in film di richiamo. In entrambi i casi è capace di ottenere ottimi successi al botteghino, senza dimenticare la qualità. Nei cinema italiani lo ritroveremo il 21 febbraio in Parlami di te, un altro dei suoi ruoli da mattatore per i quali si è fatto conoscere ormai anche dalle nostre parti. Il suo sguardo ironico e il fisico da lanciatore di coriandoli, ma di alto livello, lo hanno presto indirizzato verso parti da intellettuale, professore spesso disincantato e sofisticato come solo i parigini sanno essere. Anche se nel suo corpo scorre sangue italiano, come a giustificare le sue qualità istrioniche e una gestualità a noi molto cara.
Nato Robert, è figlio di Adelmo Luchini, commerciante originario del nostro paese, come dimostrato dalla sua nascita in uno dei paesi chiave dell’immigrazione italiana in Francia: Villerupt, che ospita ancora oggi un importante festival dedicato al nostro cinema. Adelmo si trasferì nella capitale, dove sposò la madre di Fabrice, parigina purosangue. Fabrice è il più piccolo di tre fratelli, cresce scalmanato e viziato a due passi da Montmartre, dove i genitori avevano un negozio di frutta e verdura. La scuola non faceva per lui, tanto che i genitori lo mandarono presto, una volta ottenuto senza brillare il diploma di terza media, a servizio come apprendista in un parrucchiere dei quartieri chic.
È a questo punto, a metà degli anni ’60, che adotta il nome di Fabrice, mentre coltiva da autodidatta la sua passione per i grandi della letteratura francese. Ma fu sulle piste delle discoteche del centro di Parigi che si fece notare, scatenato al punto da diventare un’attrazione in prima persona, tanto da venire assunto come animatore delle serate di una discoteca dell’ovest del paese. Proprio lì fu notato da un regista, Philippe Labro, che gli offrì nel 1969 il suo primo (piccolo) ruolo. A quel punto la passione esplode, si iscrive a dei corsi d’arte drammatica, fino all’incontro cruciale con Eric Rohmer, con cui gira subito due film. La sua carriera decolla nel 1984, quando viene nominato ai César per Le notti della luna piena, sempre di Rohmer, con cui ha finito per girare sei film. Parlando di César, in carriera ha ottenuto undici nomination, vincendo un premio solamente.
Dagli anni ’90 diventa un attore molto ricercato dal cinema francese, recitando per Claude Lelouch, Claude Berri, Patrice Leconte, François Ozon, Anne Fontaine. Ma il teatro era già una realtà, per lui, fin dalla fine degli anni ’70, tanto da alternare, cosa che accade anche oggi, il cinema con il palcoscenico, dove ha ottenuto quattro candidature ai Molière e una statuetta alla carriera nel 2016.
Dalle nostre parti abbiamo imparato ad amarlo nell’ultima decina d’anni, dopo un primo film non passato inosservato ai cinefili come Confidenze troppo intime di Patrice Leconte (2004). C’è voluto un giovane prodigio amato anche in Italia come François Ozon, nel 2010, per farlo notare nelle sale italiane in Potiche, divertente e sarcastica commedia in cui Luchini interpreta un tirannico capo di un’azienda in difficoltà, che viene scavalcato dalla moglie Catherine Deneuve. Al loro fianco anche Gérard Depardieu.
Un momento di svolta per la carriera di Luchini, che si affaccia nel cinema dai grandi incassi, con Asterix & Obelix al servizio di sua maestà di Laurent Tirard, prima di tornare a lavorare con François Ozon, questa volta da protagonista assoluto, in Nella casa, prima di un film che ha contribuito a veicolare la sua immagine di intellettuale arcigno, che non disdegna però la bellezza femminile, come Molière in bicicletta di Philippe Le Guay. In quel film duettava con Lambert Wilson, e Maya Sansa, nei panni di un attore ritiratosi al mare, in una vecchia casa, che viene convinto da un suo amico e collega a provare insieme a tornare, lavorando a una nuova versione del Misantropo di Molière.
Sempre nella florida campagna francese, questa volta in Normandia, lo ritroviamo due anni dopo, nel 2015, in Gemma Bovery, nei panni di un panettiere grande appassionato di Flaubert che subisce il grande fascino di una giovane vicina britannica, Gemma Arterton.
A sugellare una inedita popolarità anche all’estero, ecco arrivare poi la meritata Coppa Volpi per il suo ruolo di giudice integerrimo, ma incline all’amore, in La corte di Christian Vincent. Sciarpa rossa e un cognome che più teatrale non si potrebbe come Racine, Luchini ha poi scelto un ruolo molto estremo, capace di dare sfogo alla sua incontenibile abilità istrionica, come quello in Ma Loute di Bruno Dumont. Un film in cui la lingua è un elemento centrale, cosa che lo accomuna al suo nuovo ruolo, quello del potente, insopportabile e sempre impegnato manager di un’azienda automobilistica francese, capace di fulminare i sottoposti e conquistare l’opinione pubblica con l’eloquio, costretto dopo un ictus a balbettare parole al contrario o con le sillabe spostate. Parlami di te è il titolo del film, nelle sale italiane dal 21 febbraio.
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