venerdì 16 luglio 2021

Nitram: recensione del film di Justin Kurzel in concorso al Festival di Cannes 2021

Nitram, lo chiamano. Forse - è una mia ipotesi - perché è Martin letto all'incontrario. Perché Nitram, in ogni caso, sembra andare un po' contromano rispetto alla vita dei cosiddetti normali.
Lento, lo chiamano. Ritardato, a volte. Ha dei problemi psichiatrici, quello è certo. Vive con una madre severa e anaffettiva, un padre che gli perdona troppo e cova sogni più grandi di lui.
Poi Nitram incontra Helen: cinquant'anni, tantissimi cani, qualche gatto, soldi a palate anche se non sembra. Anche Helen vive un po' di traverso rispetto alla normalità, e dall'incontro tra i due nasce l'amicizia, un legame che supera le rispettive solitudini.
Ma poi le cose cambiano ancora, per Nitram, e nel film che porta il suo nome, e che arriva a legare la sua storia con quella di una tragedia reale, una sparatoria di massa avvenuta nel 1996 in Tasmania (autore: un tale Martin, Martin Taylor; ipotesi corretta).

Justin Kurzel è quello del Macbeth con Fassbender, di Assassin's Creed (ancora Fassbender), di The Kelly Gang. Qui il suo stile si fa più essenziale e rarefatto, meno hollywoodiano e patinato, ma non si fa mancare qualche estetizzazione d'autore di troppo.
Nitram è soprattutto un film che rivela lentamente la sua identità, che pare parlare di molte cose - del disagio psichiatrico, ovviamente, ma non solo - prima di rivelare - solo nel finale,e  sempre fuori campo - il suo legame con la cronaca.
L'intento è quello di un ritratto psicologico, senza intenzioni assolutorie o voglie di condanna, ma capace semplicemente di mettere in scena gli step successivi di una escalation evitabile, e la condanna di una vita priva di reali affetti.
Se molte delle scene di Nitram sono cariche di tensione - una tensione diffusa e inesplosa, che trasmette tutto il disagio del suo protagonista - il merito è anche del cast che Kurzel ha assemblato, e che vede Caleb Landry Jones (qui paradossalmente molto più controllato del solito) nei panni del protagonista, una impressionante Judy Davis in quelli della madre, un irriconoscibile Anthony LaPaglia in quelli del padre e Essie Davis (quella di Babadook, moglie di Kurzel nella vita), in quelli di Helen.
A dispetto degli attori, e degli sforzi di Kurzel, non tutto fila liscio, e la sensazione di déjà-vu è spesso dietro l'angolo. Come il rischio della distrazione.



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