Il cinema di Joachim Lafosse entra nel privato, all’interno dell'intimità della vita di coppia o del rapporto con i figli. In Dopo l’amore aveva raccontato la crisi di una lunga relazione, non uscendo o quasi dalle mura domestiche, diventate una prigione claustrofobia in cui i sentimenti diventavano indistinguibili, mentre in Les Intranquilles, girato e ambientato durante la pandemia, siamo quasi sempre nella natura, fra il giardino della casa di campagna dei protagonisti, un lago e i terreni agricoli di famiglia.
Damien è un pittore, un modo per esprimersi che lo identifica e da cui dipende. Leila ha un laboratorio in cui restaura mobili, adiacente all’atelier del suo amato, in un rustico casolare nella campagna. I due si amano intensamente, anche se sono condizionati dalla bipolarità di lui, che esplode quando comincia a dipingere con energia sovrannaturale. Parte piano piano, ma poi è inevitabile che venga preso da una furia creatrice irrefrenabile, che coinvolge con la sua malata esaltazione anche il piccolo Gabriel, che prova vergogna per questo padre “strano”, sovreccitato, che un giorno dà spettacolo fin nella sua aula scolastica, davanti ai suoi compagni.
Il senso del ridicolo, la vergogna per questo, sono centrali in Les Intranquilles, che con una lapidaria definizione giovanile molto di moda recentemente si definirebbe un film “cringe”. La figura paterna, per definizione autorevole, diventa in questo caso quella da tenere sotto controllo, anche dal figlio, oltre che dalla moglie. Nel suo percorso di analisi dei limiti e dei confini dell’innamoramento, questa volta Lafosse analizza lo sconvolgimento all’interno di una coppia della normale dinamica paritaria, dovuto alla malattia. Oltretutto, raccontando di un uomo bipolare, quindi con una dinamica che per periodi anche lunghi può essere “normale”, paritaria, per esplodere poi durante i periodi di crisi, con l'ostinazione a non prendere i farmaci e un conseguente scontro con una persona non lucida, con i molti rischi del caso e l’inevitabile conclusione in ospedale. Un luogo che non viene mai mostrato, visto che Les Intranquilles si concentra ancora una volta sulla quotidianità all’interno della famiglia, riproponendo il ballo e la musica come momento di condivisione di coppia, o di catarsi di lei nei momenti di ricovero di lui.
Damien Bonnard e Leila Bekhti, con i loro veri nomi di battesimo, sono i due eccellenti interpreti, a confermare la capacità di Lafosse di dirigere (e scegliere) gli attori. Damien ha il terrore di perdere la creatività, prendendo le potenti medicine per tenere a bada la malattia, finendo per cavalcare l’archetipo dell’artista in preda a raptus di follia. “Il virus non è il covid”, dice durante un periodo di eccitazione isterica dovuta alla sua condizione, mentre entra in paese in una pasticceria, non mettendosi la mascherina come d’obbligo. È infatti presente la pandemia, con le ben note conseguenze in termine di protezione, pur senza diventare un elemento centrale.
Lafosse è un abile costruttore di tensione intorno alla natura dei sentimenti umani, in comunicazione e talvolta in collisione. Les Intranquilles parte con una giornata al mare di serenità familiare, per poi concludersi con una gita contrastata al lago, in un percorso straziante oltre che coinvolgente, ma non riparabile. Come dice Damien, “ti posso promettere di stare attento, ma non posso prometterti di guarire”.
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