giovedì 14 dicembre 2023

Adagio: la nostra visita super segreta al set del film di Stefano Sollima alla ricerca di indizi

"Non è un musical, non ci si bacia quasi per niente, non ci sono i cavalli". È così che Stefano Sollima ci ha presentato Adagio quando, più di un anno fa, abbiamo avuto il privilegio di andare sul set del film, che arriva oggi nelle sale italiane dopo essere stato presentato al Festival di Venezia 2023.

Che Adagio non fosse un musical lo abbiamo capito sia dalla location dove ci hanno portato (la stazione Tiburtina di Roma) sia da un altro piccolo indizio che il regista di Soldado e ZeroZeroZero ci ha dato non appena, insieme ad alcuni colleghi, lo abbiamo tempestato di domande sulla trama del suo nuovo lungometraggio. Sollima, rigorosamente in total black, ci ha detto che Adagio sta fra Romanzo Criminale: La Serie e Suburra, e quindi il mood dovrebbe essere lo stesso.
Ai baci non avevamo proprio pensato, perché il noir, che è la grande passione di Sollima, non esclude l'amore e il sesso. I cavalli, infine, li avevamo esclusi a priori, anche se sarebbe bello vedere un autore capace di regalarci immagini di una potenza incredibile cimentarsi in un western, magari a tinte un po’ fosche. E invece non ci sono saloon, duelli né treni per Yuma nel film, ma soltanto Roma.

Roma: croce e delizia e città noir

  Adesso sappiamo bene che Adagio chiude la trilogia della Roma Criminale (cominciata con ACAB), ma in quella sera di inizio autunno tutto era un mistero per noi, tranne i nomi dei tre protagonisti: Toni Servillo, Pierfrancesco Favino e Valerio Mastandrea. Dei loro personaggi, tre vecchie guardie della Banda della Magliana, il regista ci ha detto soltanto: "Si tratta di individui che un tempo erano rispettati, temuti e molto ricchi, mentre adesso vivono ai margini e sono completamente scollegati dalla realtà". Ovviamente la realtà di cui si parla è quella della malavita, e siccome Cammello, Daytona e Polniuman non sono esattamente in ottima forma, il titolo del film si riferisce al loro tempo musicale e non al ritmo del film, che, comunque, si prende i suoi tempi.

La capitale d'Italia di Adagio è molto diversa da quella dei precedenti film di Sollima. Quanto al genere, il regista si è sbilanciato un po’ di più: "La nostra è una storia che ha una base criminale, anche se non raccontiamo come sono cambiate le bande. Siamo sempre nel genere che mi piace abbracciare, anche se io non riesco mai ad ascrivere a un determinato genere i film che faccio".

In effetti quasi nessun film rientra solamente in un genere, ma nelle scene che il regista e la troupe si apprestano a girare, e che riguardano la parte finale di Adagio, ci sono conflitti a fuoco e inseguimenti, e quindi qualcosa del Sollima che ci piace è assicurato. In programma c'è anche una sequenza in una stazione che dovrebbe avere un ritmo piuttosto concitato, visto che Roma è in una situazione di emergenza

Roma… dopo aver girato due film in terra straniera (Soldado e Senza rimorso), il regista è stato felicissimo di tornare a casa: "Girare di nuovo nella mia città è stata una bella esperienza" - ha detto - "perché non solo stai a casa, ma stai a casa con gli amici, quindi il lavoro è diverso". Gli amici di cui si parla sono Picchio (Pierfranceco Favino) e Valerio Mastandrea. Del secondo Sollima dice: "Siamo amichetti ma non ci avevo mai lavorato”, mentre il primo lo ha diretto sia in ACAB che in Suburra.

Pierfrancesco Favino irriconoscibile

La sera della nostra set visit, Picchio si sta preparando a girare, e ci accompagnano alla roulotte del trucco per renderci testimoni della sua metamorfosi. Ci aprono la porta e ci troviamo di fronte un uomo calvo e con la testa a uovo. Pensiamo ai film di fantascienza, al Dottor Male di Mike Myers, a Conehead e così via. Pierfrancesco sorride, gli diciamo che ci ricorda Nosferatu e lo salutiamo. Stefano Sollima ci presenta poi il costumista Mariano Tufano, che subito ci racconta che Favino ha "trovato" Cammello, il suo personaggio, anche grazie a un abito di scena, tanto che gli ha detto: 'Adesso mi sento Cammello". "Lo stesso costume su due attori diversi ha una declinazione completamente altra" - spiega Tufano, e Sollima aggiunge: "Quando fai i film, addirittura quando li scrivi, arriva un momento in cui i personaggi prendono il sopravvento e diventa evidente quello che un personaggio direbbe o farebbe. Quindi il nostro è un lavoro di gruppo dove poi alla fine comanda il personaggio".

"Ci sono due età, due diverse generazioni in Adagio" - prosegue Tufano. "ci sono i vecchi, e poi ci sono tutti i giovani, e quindi abbiamo uno scarto interessante. Il look dei ragazzini, che sono molto divertenti, è estremamente attuale. I vecchi vestono in maniera diversa e i loro abiti riflettono la loro disperazione e il loro scollamento dalla realtà. Quando faccio i costumi contemporanei, cerco sempre di mantenere un equilibrio fra realismo e un aspetto buffo, perché nella realtà le persone indossano delle cose inusuali che le rendono particolari, e per i nostri costumi ci siamo spinti in questa direzione".

La fotografia livida e notturna di Paolo Carnera

Altro collaboratore importante di Stefano Sollima è il direttore della fotografia Paolo Carnera, che ha cominciato a lavorare con il regista al tempo di Romanzo Criminale: La Serie e ha illuminato anche ACAB, Suburra, Suburra: La serie, Gomorra: La Serie e ZeroZeroZero. Della luce, dei colori e del mood visivo di Adagio ci dice: "È un film dove si soffre molto il caldo, quindi stiamo sudando tutti e credo che dovrà sudare anche lo spettatore. Stiamo cercando di fare un grande film, che piaccia anche al pubblico non italiano. In Adagio Roma appare come uno spazio vasto, le immagini sono immense e quindi questo non è un film piccolo: è un film di grandi anime. Sono andato anche io a vedere le location e subito ho capito cosa avremmo fatto. Siccome la vicenda si svolge in una notte un giorno e una notte, c'è tanta oscurità, e quindi Adagio è anche un noir, un noir psicologico, in cui saranno tutti sempre sudati".

Per Stefano Sollima lavorare con Carnera è come tornare a casa. I due hanno un rapporto di fiducia e confidenza, e si capiscono al volo: "Quando faccio il direttore della fotografia per Stefano" - dice ancora Carnera - "so che per ogni film alziamo l'asticella, il che è bellissimo. Questa volta l'asticella non è solo più alta: è più profonda". Carnera ci racconta anche di come ha approcciato Adagio: "Questo film è fatto di due elementi. Uno è la psicologia dei personaggi, a cui cerco di avvicinarmi con una grande sensibilità e con grande umanità. L'altro è la necessaria spettacolarità di questa vicenda, che ha diverse scene d'azione. Questi due aspetti cerco di fonderli".

Costruire Adagio: le scenografie

Anche se non incontriamo tutti i componenti della troupe, l’impressine che abbiamo è che Adagio sia davvero il frutto di uno sforzo collettivo. I reparti lavorano in sinergia e il trait d’union è proprio la chiarezza di visione di Stefano Sollima. Dopo Carnera, intervistiamo lo scenografo Paki Meduri, che ci dà qualche informazione supplementare sulla Roma che vedremo nel film: "Non è sempre una Roma di periferia però è spesso una Roma di periferia. Il nostro lavoro con Stefano è stato trovare i mondi che raccontano questa storia. Siamo andati a cercare delle location sconosciute, degli scorci inediti, dei posti dove il calore poteva salire dalle strade. Non abbiamo costruito tanto: solo una casa e l’esterno di un'altra. Ci siamo confrontati molto con il reparto trucco e il reparto costumi e abbiamo cercato di trovare un unico linguaggio, un’unica grammatica".

Contento dei suoi fidi compagni di lavoro, Sollima ha trovato un'industria cinematografica all'avanguardia e, prima di tornare sul set, ci parla della sua "prima volta" con Servilo: "Toni, è fantastico. Non era facile per lui entrare, anche psicologicamente, in un genere che non ha mai frequentato. Si è affidato a me ed è entrato nella nostra famiglia con grande facilità".

Anche il costumista ci ha parlato di lui, dicendo: "Aspettatevi un Servillo come non avete mai visto". Forse doveva aggiungere: "Come non lo avete mai sentito parlare", visto che l'artista campano con il sigaro e gli abiti di alta sartoria si esprime per la prima volta in romanesco.



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