Raccontare con gli strumenti del cinema, della creazione artistica, una storia terribile di violenza domestica con vittime i bambini. È questo il tentativo, ambizioso e portato brillantemente a termine da Nicolangelo Gelormini in Fortuna, in uscita nei cinema il 27 maggio per I Wonder Pictures, dopo la presentazione in vari festival, fra cui la Festa del cinema di Roma.
Un film di fantasia, interpretato in un ruolo duplice da Pina Turco e Valeria Golino, e con la vera protagonista, una sorprendente piccola attrice, Cristina Magnotti (Fortuna). Si ispira, ma senza relazione diretta, con dei fatti di cronaca che ancora sono discussi in tribunale. Lo tiene a specificare il produttore Davide Azzolini, nel corso di un incontro con la stampa. “Si sgancia dalla realtà, non abbiamo avuto contatti con la famiglia coinvolta, perché altrimenti non sarebbe stata più un’opera libera e di fantasia. È cinema, e con momenti destinati a restare”.
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Fortuna è una bambina timida che vive con i genitori in un palazzone in una periferia come tante, con tutte le sue contraddizioni e contrasti. Chiusa da qualche tempo in un silenzio inaspettato per chi le sta intorno, viene portata dalla madre da una psicologa che si rivelerà distratta e scostante. La bambina sembra non riconoscersi più nel nome con cui gli adulti la chiamano e sente di non appartenere a ciò che la circonda: come in una favola a cui a volte stenta a credere, pensa di essere una principessa in attesa di tornare sul suo pianeta nello spazio. Sono Anna e Nicola, i suoi amici del cuore con cui condivide lunghe giornate di giochi, a chiamarla Fortuna. Ed è solo con loro che condivide anche un segreto molto difficile da raccontare.
“Volevo comprendere cosa nascondesse il fatto di cronaca, la storia di un tradimento”, ha dichiarato il regista, Nicolangelo Gelormini, “il contesto realistico non mi interessava se non per il senso del tradimento che colpisce i bambini davanti agli adulti che non comprendono la loro libertà emotiva. La messa in scena è metafisica, distaccata dalla realtà, per far comprendere come viva una persona tradita dai massimi sistemi. Ho coinvolto le attrici su questo tema, due donne antitetiche per comprendere come al centro ci fosse il doppio, una realtà contraddetta dalla finzione e resa ancora più fantascientifica. Se abbiamo fatto, come spero, un buon film il merito è della libertà completa e la protezione che ho avuto da parte dei produttori. Abbiamo preservato un lavoro artistico, il cinema, senza nessuna pretesa né voglia di raccontare la realtà. È cruciale che gli autori vengano protetti e fatti lavorare liberi dai produttori, ovviamente all’interno di un limite. A livello artistico, ma anche sociale e civile, siamo tutti liberi nel rispetto collettivo, una questione chiave specie oggi, con grandi discussioni su tematiche legate al rispetto, che sono molto divisive.”
Nei panni delle protagoniste adulte, alternativamente la madre della bambina e la psicologa, nei due piani del racconto di Fortuna, ci sono Pina Turco e Valeria Golino. “La sceneggiatura prometteva qualcosa di molto cinematografico, e non capita spesso”, ha dichiarato la Golino, “qualcosa di emotivamente destabilizzante, volevo partecipare per questo più che per il ruolo. Ognuno delle due porta un sentimento e ho avuto subito voglia di far parte del film, al di là del personaggio, anche se ovviamente avrei voluto essere la bambina, la vera protagonista. Volevo partecipare perché mi imbarazzava, mi incantava, mi destabilizzava. Non ho mai pensato al fatto di cronaca, pur conoscendolo, e da essere umano è la cosa più terribile. Da artista mi metteva in allarme, ero sempre in tensione nei due ruoli, con le loro ambiguità, anche se i miei erano i più accoglienti, in buona fede, rassicuranti. L’ho fatto quasi frastornata, senza rendermi neanche ben conto di cosa sarebbe successo, fino alla visione in sala. E in quella cornice va visto.”
Il regista napoletano parla poi, da architetto, dell’importanza degli spazi, degli edifici e degli interni. “L’architettura è l’ennesimo personaggio del film, credo da sempre che muova le energie delle persone, le condizioni, ci impone di essere in un certo modo. Volevo renderla plastica e visibile, a volte spaccando l’inquadratura in due, per sottolineare il tema del doppio, con riferimento poi all’architettura brutalista o postmoderna. A livello sensoriale ed estetico mi rimandava a un sud del mondo, aiutava a raccontare la brutalità dei sentimenti, in una gabbia con derive metafisiche. Percorsi non tanto razionali, ma campi di indagine che sentivo rispondessero alla mia idea del film."
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