Da quanto tempo non vedete Edward Mani di Forbice?
No, non un pezzo di una clip spuntata fuori da YouTube. Il film integrale, dall'ormai defunto logo 20th Century Fox che era per l'occasione imbiancato dalla neve, ai titoli di coda con le note di una delle migliori colonne sonore di Danny Elfman. La musica del compositore era il miglior abito che il film potesse indossare. Suonava con eco fiabesco una melodia che restituiva la dolcezza e il senso di solitudine di una storia che il cinema avrebbe reso eterna.
Era il 6 dicembre 1990 quando il il film veniva proiettato per la prima volta durante la premiere di Los Angeles. Sarebbe successivamente arrivato nelle sale americane il 14 dicembre e in quelle italiane il 25 aprile 1991.
Edward Mani di Forbice: che effetto fa vedere il film con gli occhi di oggi
Non si tratta di fare la prova del tempo. Chiedersi come Edward Mani di Forbice regga a distanza di 30 anni significherebbe porsi la domanda sbagliata. Quasi tutti i film di Tim Burton sono finestre che si affacciano sul pianeta della sua fantasia, un luogo unico e non riproducibile, avulso da tutto e con un proprio ecosistema. Le sue storie sono altrove ed esistono a prescindere dalla nostra realtà. Siamo noi a volerle rivisitare, per capire se è cambiato il modo di vederle. Di sentirle.
La domanda è questa: noi, 30 anni dopo, con quali occhi vediamo Edward Mani di Forbice? La visione del film ha sedimentato nella nostra memoria emotiva l'immagine di quel ragazzo artificiale spettinato, pallido e magro, con lame al posto delle dita che scolpisce il ghiaccio, la neve che cade su Winona Ryder e le parole "Abbracciami" e "Non posso" che ci hanno trafitto il cuore. È una storia d'amore non vissuta quella di Edward e Kim, eppure in quel breve lasso di tempo in cui i loro sentimenti si intrecciano, entrambi riescono a fare ciò che gli innamorati sentono d'istinto: proteggersi a vicenda.
Edward Mani di Forbice, con un meraviglioso Johnny Depp, è una favola dark basata sulla solitudine di Tim Burton che da adolescente percepiva un disagio nelle persone che aveva intorno, come se avessero fretta di allontanarsi da lui. Era un tipo strano, come lo è Edward, e l'ambientazione suburbana del film rispecchia i suoi ricordi d'infanzia. Gli espliciti riferimenti al mostro di Frankenstein, a Quasimodo e a La bella e la bestia tracciano la via per toccare il tema dell'inclusione del diverso. Edward è ben accolto dalla piccola comunità di casalinghe disperate, uomini inutili e cani da tosare, ma nessuno di loro si accorge che il talento del "mostro" non sono le mani affilate. Il suo cuore è troppo grande, troppo puro per essere visto da quel manipolo di arretrati egoisti che cercano benefici per loro stessi, senza mai interessarsi dei suoi bisogni. E anche la famiglia che lo adotta non lo comprende fino in fondo, una sensazione comune a qualunque figlio in fase adolescenziale nel rapporto con i genitori.
La gentilezza di Edward non trova posto in questo mondo cromatico che si rivela molto più artificiale di quanto non lo sia lui, un ragazzo creato in laboratorio dallo scienziato con il volto di Vincent Price che non ha fatto in tempo a fargli le mani. Edward è l'unico personaggio privo di colori. Anche quando viene vestito con camicia, bretelle e pantaloni, rimane un pallido straniero in bianco, grigio e nero. Non è soltanto una scelta estetica per mettere in risalto il diverso. Per Burton, il film è parzialmente raccontato secondo il punto di vista di Edward che in quei colori sgargianti vede un sinonimo di festa, di gioia, di compagnia. Vorrebbe appartenere a quel mondo, prima di capire tragicamente di non essere adatto. Il bullo Anthony Michael Hall lo chiama "freak", quando è l'intera città vestita di giallo, verde, rosa, viola ad essere un circo permanente.
Il lieto fine non abita in questa storia che sceglie territori shakespeariani per arrivare a conclusione. E, d'altra parte, perché mai dovrebbe. Esiste il lieto fine? Vogliamo essere rassicurati e forse un po' presi in giro con un "e vissero felici e contenti"? A volte sì, lo vogliamo, fingendo che così possa essere. Oppure ci lasciamo avvolgere dal mantello di tenerezza e tristezza che questo film porta con sé, un sentimento un po' doloroso che in cambio ci ricorda quanto contino le opportunità di esserci per gli altri, di vivere emozioni che potrebbero non ripresentarsi, di abbracciarci anche se pensiamo di non esserne capaci.
Edward Mani di Forbice: la prima volta di Tim Burton e Johnny Depp
Nonostante non conoscesse la serie 21 Jump Street, Tim Burton era convinto che Johnny Depp fosse l'attore giusto per la parte. Fino a quel momento, al cinema Depp aveva ottenuto tre ruoli secondari e solo uno da protagonista in Cry Baby, nell'aprile del 1990. Nomi più noti del suo erano stati fatti e contattati, Tom Hanks, Tom Cruise a Gary Oldman con cui, per motivi diversi, non fu trovato un accordo. La solida amicizia tra Burton e Depp nacque con questo film, il primo di una lunga serie di make-up che avrebbero caratterizzato la carriera dell'attore. Sulla ventina di titoli diretti da Tim Burton, Edward Mani di Forbice è la sua opera più personale la cui poetica malinconia fa bene a chi si lascia sedurre dalla sua bellezza narrativa.
Edward Mani di Forbice è disponibile in streaming su Disney+. Qui sotto il trailer del film.
from ComingSoon.it - Le notizie sui film e le star https://ift.tt/39IENpT
via Cinema Studi - Lo studio del cinema è sul web
Nessun commento:
Posta un commento