È Natale. Un veicolo in fiamme. Un commissario che passa e avverte la centrale affinché intervengano i vigili del fuoco. Così inizia Roubaix, una luce nell'ombra , decimo lungometraggio di Arnaud Desplechin e prima incursione nel polar di un autore impegnato nel sondare gli impervi tragitti delle umane esistenze e, quindi, a suo agio nel cimentarsi con un genere che proprio di donne e uomini, e del loro vagare nel mondo, si occupa. La sequenza iniziale è una scena secondaria, il fuoco più importante sarà altrove, ma rivela una delle tante particelle che si agitano e collidono con le altre.
Un giorno di festa in una città con un passato aureo e ora tra le più povere della Francia, un piccolo crimine, forse solo l'ennesima truffa di chi vuole sopravvivere incolpando il capro espiatorio per eccellenza, gli arabi, e un poliziotto, Yakoub Daoud, che non dorme mai e che di notte vaga come un testimone della decadenza al quale, da divinità capricciose, è stato solo concesso di riparare qualche perdita, ma non di cambiare l'intero sistema. Accanto al commissario di origini algerine, che vive da solo ancorato a una terra che è la sorgente di tutti i suoi ricordi, di tutto il suo vissuto, non ci sono famigliari, quelli sono ripartiti per il Nord Africa. Vi sono, invece, guardie e ladri, vittime e carnefici. Un piccolo universo composto da tanti personaggi, anzi persone perché proprio nei titoli di testa, una didascalia informa lo spettatore che: «Qui, tutti i crimini, irrisori o tragici, sono reali. Vittime e colpevoli sono esistiti». E infatti il film di Desplechin è tratto da un documentario del 2007, Roubaix, commissariat central di Mosco Levi Boucaul.
La centrale di polizia è dunque un mondo riprodotto in scala, con le ambizioni e le frustrazioni che ogni essere umano porta con sé, gli orrori della violenza e i tragicomici espedienti di chi è abituato a entrare e uscire in quel piccolo universo. Esiste un caso più importante, quello di due donne accusate di aver ucciso una anziana e indifesa signora di ottantadue anni. Desplechin, però, è abile nel decentrare l'attenzione dello spettatore, nel costringerlo a seguire i diversi piani (della vita e della narrazione), sin dalla scelta originale di avere un protagonista, Daoud, consapevole delle sue possibilità e dei suoi limiti, e una voce narrante, il giovane Louis Coterell, appena uscito dall'accademia e destabilizzato dalla frattura che separa quello che è da quello che vorrebbe essere. Si agisce secondo un istinto, facendo i conti con la ragione e il torto e, poco più in là, si narra per cercare di razionalizzare quello che razionale non è.
Il solitario Daoud però non è in opposizione al cattolico e pieno di buone intenzioni Coterell, così come non lo è nei confronti dei piccoli o grandi criminali. Sa che colpevoli e innocenti hanno parimenti bisogno di essere accompagnati a un senso che dirima il caos di un mondo in cui l'umano e l'inumano si mescolano senza sosta. Non per mettere ordine, perché altri disordini sono alla porta del commissariato (e del mondo), ma solo per prendersi una pausa e vedere un cavallo che corre.
Roubaix, una luce nell'ombra; Regia: Arnaud Desplechin; Sceneggiatura: Arnaud Desplechin, Léa Mysius; Fotografia: Irina Lubtchansky; Montaggio: Laurence Briaud; Interpreti: Roschdy Zem (Daoud), Léa Seydoux (Claude), Sara Forestier (Marie), Antoine Reinartz (Louis); Produzione: Why Not Productions, Arte France Cinéma; Origine: Francia 2019; Durata: 119'.
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