Quando è arrivato il Coronavirus in Italia, a Codogno, io ero al Festival di Berlino. Frequentando sale cinematografiche e altri ambienti chiusi con persone provenienti da ogni parte del mondo. Cina compresa.
Ricordo che allora il mio terrore era che venisse fuori qualche caso lì, internamente al festival, e che mi tenessero in quarantena in Germania, lontano dalla famiglia, per altre due settimane.
Non successe nulla. Io partii da Berlino avendo fatto scorta di amuchine, trovai il termoscanner a Fiumicino, e tornai a casa e al lavoro romano.
Nel giro di pochi giorni, scattò il lockdown, e cominciò tutto quello che ben conosciamo: lavoro da casa, scuole chiuse, bar e ristoanti chiusi. Cinema chiusi.
Le misure, all'epoca, mi sembravano dolorose ma tutto sommato sensate, e sono servite a tenere bassi i contagi in Italia.
Poi è scattato il tana libera tutti dell'estate, per far rifiatare la gente e l'economia: e forse noi, la gente, ce ne siamo approfittati un po' troppo.
Tanto che, alla metà di agosto, ecco di nuovo la curva risalire.
Devo ammettere che verso la fine dell'estate, dal mio buen retiro marittimo marchigiano, l'idea di tornare a mettere il naso dentro una sala cinematografica non mi faceva proprio impazzire. Perché 'sto virus a me ha sempre fatto paura.
Poi però il lavoro è lavoro, e la passione è passione, e mi sono fatto, godendomeli tutti, Il Cinema Ritrovato prima e il Festival di Venezia poi, e poi ancora tutto quello che è venuto dopo: le proiezioni stampa, le conferenze, le interviste, e pure la Festa di Roma.
Ieri, per ragioni legate al lavoro, ho fatto un tampone. E sono risultato negativo. Anche tutti i colleghi che da mesi frequentano praticamente ogni giorno le sale, erano negativi.
A oggi, nessun focolaio d'infezione è scoppiato in un cinema. E non si sono registrati ufficialmente contagi avvenuti all'interno di una sala cinematografica. "Un'indagine pubblicata pochi giorni ha evidenziato che su 350mila spettatori dalla riapertura, solo uno è risultato positivo, ma con poca certezza di essere stato contagiato in un cinema", come sottolinea Massimo Righetti, esercente e distributore.
Ora, a quanto pare, i cinema rischiano di venire chiusi di nuovo, come i teatri, i luoghi in cui si fanno concerti. E pure i musei subiranno, pare, una forte stretta.
Inutile stare ora qui a parlare dell'importanza della cultura, eterna ultima nell'interesse dei nostri governanti da decenni.
Inutile pure stare a parlare del feticcio della sala, argomento sul quale sarebbe anche utile aprire un dibattito serio, lungo e ragionato.
Il punto è che chiudere ancora i cinema significa mettere in ginocchio un intero settore industriale ed economico, già messo a durissima prova da quanto avvenuto nei mesi scorsi.
Lo ammetto: fosse davvero indispensabile, chiudere i cinema, non scriverei queste righe.
Ma è oramai indubbio che mesi interi - mesi nei quali si poteva pianificare, studiare, migliorare, organizzare la lotta al Coronavirus - sono stati sprecati. Mesi nei quali si poteva e doveva analizzare in dettaglio i dati sui luoghi di contagio, per agire in maniera drastica e mirata laddove realmente necessario.
Ma al cinema si entra dopo aver misurato la temperatura. Ci si siede distanziati. Si usa la mascherina. E si sta in silenzio.
I cinema chiudono; i mezzi pubblici continuano a essere stipati di persone, al ristorante ci si siede stretti stretti, e si sta senza mascherina (per ovvie ragioni, ma pur sempre senza mascherina), e i calciatori continuano a dare spettacolo e ad ammalarsi.
Sono di parte, certo, ne va del settore che amo e del mio lavoro.
Ma davvero chiudere i cinema così, ora, mi pare davvero una mossa fatta de botto, senza senso, come direbbe René Ferretti.
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