venerdì 30 ottobre 2020

Diego Armando Maradona e il cinema: storia personale del Pibe de Oro sul grande schermo

Tra gli ospiti dell’esclusivo resort sulle Alpi svizzere dove è ambientato Youth di Paolo Sorrentino c’è anche un uomo in evidente e grave sovrappeso, con una gran massa di ricci neri sulla testa, orecchini di brillanti a entrambe le orecchie, una catena d’oro al collo, un pizzetto brizzolato e un enorme tatuaggio del volto di Karl Marx che gli copre l’intera schiena.
L’uomo, che quasi sempre indossa occhiali neri e un cappellino da baseball si muove lentamente e con fatica, aiutato da un bastone e da una moglie giovane e bionda. Oltre che da una bombola di ossigeno sempre a sua disposizione.
In una scena del film l’uomo passa lentamente e faticosamente al fianco di un campo da tennis deserto, e nota una pallina rimasta lì, sulla terra rossa. Poi c’è uno stacco di montaggio, e vediamo la pallina da tennis volare altissimo in aria, ripetutamente. Un nuovo stacco ed ecco che la macchina da presa ci mostra l’uomo, completamente nudo con l’eccezione di un paio di calzoncini da bagno neri, che respirando affannosamente colpisce la pallina da tennis col suo magico piede sinistro ("anch'io sono mancino, sai?", diceva a un ragazzino a mollo in una piscina che stava parlando con il personaggio di Michael Caine; "Cristo, tutto il mondo sa che lei è mancino", gli rispondeva quello di Paul Dano), palleggiando fino a quando il fiato corto gli impedisce di andare avanti.

Ho sempre pensato che quello di Youth, in tutta la sua natura grottesca e patetica, eppure così dolce e poetica, sia stato l’omaggio più sentito e sincero fatto a Diego Armando Maradona da un qualsiasi regista cinematografico.
D’altronde, Paolo Sorrentino non ha mai nascosto la sua adorazione per il Pibe de Oro. Il suo discorso, quando vinse l’Oscar per il miglior film straniero con La Grande Bellezza, poco più di un anno prima che Youth venisse presentato in concorso a Cannes, conteneva un ringraziamento “alle mie fonti di ispirazione: Federico Fellini, i Talking Heads, Martin Scorsese e Diego Armando Maradona.
Il suo prossimo film, che sta girando per Netflix, s’intitola È stata la mano di Dio, altra allusione al calciatore argentino, e al famigerato gol che segnò aiutandosi con la mano contro l’Inghilterra nei quarti di finale dei Campionati del Mondo di Messico ‘86. “È stata la mano di Dio”. Così disse successivamente Maradona di quella rete, una delle più note e sicuramente la più chiacchierata della storia del calcio.
Il nuovo film di Sorrentino non parla direttamente di Maradona, ma indirettamente sì. Storia vagamente autobiografica, quella di È stata la mano di Dio, che prende spunto dalla morte dei genitori di Sorrentino, asfissiati nel sonno dal monossido di carbonio mentre erano in vacanza a Roccaraso. Paolo doveva essere in montagna con loro, ma aveva avuto il permesso di andare a Empoli per vedere giocare Maradona e il Napoli; e così si salvò, come lui stesso ha raccontato.

A Maradona, che pure aveva apprezzato l’omaggio in Youth, pare che il titolo di questo nuovo film non sia piaciuto, e ha minacciato cause tramite i suoi legali.
Non ebbe nulla da ridire, invece, quando nel 2007, Marco Risi diresse un film biografico non particolarmente memorabile intitolato proprio Maradona - La mano de Dios, nel quale Risi ripercorreva le principali tappe umane e sportive della vita e della carriera del calciatore.
L’anno successivo, nel 2008, fu Emir Kusturica a raccontare a modo suo Maradona, in un documentario (assai sui generis) eloquentemente intitolato Maradona di Kusturica, che era sostanzialmente un montaggio di riprese che mostrano chiacchierate tra i due, e che toccano sì il versante sportivo, ma anche quello dell’impegno politico dell’oramai ex calciatore, e del suo ruolo di padre e marito.
Nel documentario di Kusturica, come già nel film di Risi, ma in maniera assai più esplicita e articolata, emerge il rapporto con la cocaina del Pibe de Oro, e la sua lotta contro la dipendenza. Dipendenza che, pare, sia iniziata durante gli anni napoletani del giocatore, quegli anni raccontati benissimo nel migliore dei film incentrati su di lui, il Diego Maradona di Asif Kapadia, il regista inglese che aveva già portato al cinema le storie di Ayrton Senna e Amy Winehouse.
Tutto costruito su materiali d’archivio montati assieme, su un tappeto di interviste realizzate invece nel presente, il film di Kapadia è quello che meglio di tutti racconta le tante contraddizioni umane e sportive di Maradona: ma sul legame con Napoli, e su quello che Maradona ha rappresentato per la città e per i napoletani (Sorrentino compreso), ha fatto quasi meglio il regista italiano Alessio Maria Federici in Maradonapoli, un doc che che non è tanto su Maradona, ma prima di tutto su Napoli, e poi su come Napoli ha vissuto Maradona.
E se volete approdondire, sia Diego Maradona che Maradonapoli sono disponibili in streaming su Netflix e altre piattaforme.

Diego Maradona: il trailer del documentario

Maradonapoli: il trailer

Quello tra Napoli e Diego Armando Maradona è stato un matrimonio perfetto, passionale, intenso e tragico. Nessun altro luogo al mondo, nemmeno l’Argentina, ha accolto e abbracciato e esaltato il culto di Maradona come ha fatto Napoli, e in nessun altro luogo Maradona sarebbe potuto diventare la divinità della cultura popolare che è diventato senza il palcoscenico e il fondale e la partecipazione di Napoli.
Ne è testimonianza anche l’episodio di Tifosi, commedia antologica diretta da Neri Parenti nel 1999, in cui appare, nei panni di sé stesso, lo stesso Maradona, assieme a un altro mito napoletano come Nino D’Angelo, che prima gli svaligia casa per pagare i debiti, poi si accorge che la casa era sua e rimette tutto a posto.

Napoli o non Napoli, il mito di Diego Armando Maradona non accenna a tramontare, e continua a ispirare autori e registi di tutto il mondo. Come, ad esempio, il giovane regista e sceneggiatore palestinese Firas Khoury, classe 1982, l’anno in cui Maradona lasciò il Boca Junior per approdare al Barcellona.
Un suo cortometraggio del 2019 si chiama Maradona’s Legs, ha girato diversi festival e racconta la storia di due bambini palestinesi che, nelle settimane in cui si stanno giocando i Mondiali di Italia ‘90 (quelli che, come raccontato nel documentario di Kapadia, segnarono la rottura dell’idillio tra Napoli e Diego, con quell’Italia-Argentina caldissima giocata proprio al San Paolo) sono ossessionati dalla ricerca della parte inferiore della figurina doppia di Maradona, quella che appunto ne raffigura le gambe, e che permetterebbe loro di completare il loro album dei calciatori e vincere così una console Atari.



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