domenica 18 giugno 2023

Tribeca Film Festival: i migliori film visti nell'edizione appena conclusa

L’edizione 2023 del Tribeca Film Festival - seguita sia dal vivo che nella versione online - ha confermato una ritrovata vitalità del cinema americano di stampo prettamente indipendente, capace di tornare a lavorare sui generi con freschezza e un occhio preciso allo sviluppo di ambientazioni  e personaggi. Oltre a una selezione di film statunitensi di buon livello - anche se forse mediamente inferiore rispetto alle ultime due edizioni -  il Tribeca ha anche offerto un’ampia e altrettanto notevole rosa di lungometraggi stranieri, in cui si è distinto anche un titolo italiano. Eccovi dunque i migliori film visti alla rassegna di cinema newyorkese.

I migliori film visti al Tribeca Film Festival 2023

  • Eric Larue
  • Blood For Dust
  • The Graduates
  • LaRoy
  • Silver Haze
  • L’ultima notte di Amore
  • Afire

Eric Larue

Il debutto dietro la macchina da presa del due volte candidato all’Oscar Michael Shannon è senza dubbio il film più coraggioso presentato al Tribeca Film Festival, nonché molto probabilmente il più riuscito. Al centro della storia di Eric Larue si trova Janice, madre di un adolescente che ha brutalmente assassinato tre compagni di liceo. Se suo marito ha in qualche modo trovato la pace grazie alla congregazione religiosa a cui appartiene la donna non riesce ancora ad elaborare l’orrore commesso dal figlio, e questo la rende sempre più estranea e distaccata dal mondo che la circonda. Michael Shannon racconta un personaggio complesso, che pian piano rivela il proprio malessere attraverso comportamenti ambigui, anche contraddittori, certamente non inficiati da retorica. Eric Larue non scade mai nel melodramma retorico anzi in alcuni sorprendenti momenti vira addirittura verso la commedia nera. Il merito maggiore del’attore/regista è quello di aver dato a Judy Greer, caratterista solitamente vista in ruoli leggeri, una parte che le permette di regalarci una prova di enorme efficacia, principalmente grazie alla sua sincera ambiguità. L’attrice dimostra di aver capito pienamente lo spirito del film e impersona Janice con una compostezza trattenuta che la rende verissima, in particolar modo nelle sue zone d’ombra. È la Greer il cuore e la carta in più di Eric Larue, lungometraggio destinato a far discutere se avrà l’attenzione mediatica che merita. 

Blood For Dust

Con i suoi lineamenti scavati e lo sguardo febbrile, Scoot McNairy è il perfetto protagonista di Blood For Dust, livido crime-thriller diretto da Rod Blackhurst. La vicenda ambientata negli anni ‘90 vede un commesso viaggiatore in difficoltà economiche tornare a far coppia con un vecchio collega adesso intento a gestire affari decisamente poco legali. Pur non rivelandosi originalissimo nella narrazione o nell’estetica, il film di Blackhurst possiede una propria solidità e un’atmosfera ben precisa, la quale restituisce allo spettatore il giusto senso di predestinazione legato alla vicenda del protagonista. Il resto lo fa un McNairy come sempre abilissimo nel dotare i propri personaggi di un’ambiguità di fondo a tratti sconcertante. Si tratta di un caratterista tra i più efficaci e competenti del cinema americano contemporaneo, speriamo davvero di poterlo rivedere presto in produzioni che ne esaltino le capacità di attore a tutto tondo. Blood For Dust è una di queste. Accanto a lui nel film troviamo anche un viscido Kit Harington e il sempre efficace Josh Lucas


The Graduates

Con Eric Larue The Graduates divide il tema, anche se trattato da una prospettiva e soprattutto con un tono differenti. L’esordio della regista Hannah Peterson vede tre persone tentare di ritrovare serenità a un anno di distanza dall’assassino del ragazzo che li legava. In questo caso ci troviamo di fronte a un melodramma maggiormente canonico rispetto a Eric Larue, costruito in maniera certamente più retorica ma non per questo mancante di una sua efficacia. Merito deve essere attribuito alla performance riuscita della giovane protagonista Mina Sundwall, capace di offrire tenerezza e verità al personaggio di Genevieve. Non ci troviamo di fronte a un lungometraggio che tenta di offrire prospettive nuove sul tema scottante dei massacri avvenuti nelle scuole americane, quanti piuttosto mostrare il dolore che persiste nei sopravvissuti. Sotto questo punto di vista The Graduates indubbiamente ottiene lo scopo prefissato. Tra le produttrici esecutive figura anche il premio Oscar Chloé Zhao

LaRoy

Stesso genere di Blood For Dust ma tono totalmente differente per LaRoy, altra commedia criminale ambientata nella classica cittadina sperduta del Texas dove killer prezzolati, scambi di identità, valigette piene di soldi e altri stereotipi di questo tipo di storie contribuiscono a rendere a tratti spassoso il film diretto dall’esordiente Shane Atkinson. Anche in questo caso la forza del film sono gli attori: su una sceneggiatura comunque ben organizzata si incastrano le prove effervescenti di Steve Zahn, Megan Stevenson e un Dylan Baker che da molto tempo non vedevamo così tirato a lucido e spaventoso. Prova di un livello superiore la sua, senz’ombra di dubbio. LaRoy non poteva però funzionare se il suo vero protagonista non fosse stato il classico “signor nessuno” che si ritrova dentro un ingorgo criminale in cui trova in fondo la propria identità. Pochi attori come John Magaro sanno oggi dare profondità a questo tipo di ruoli, e questo film non fa eccezione. Il percorso in fondo è opposto ma ugualmente efficace rispetto a Scoot McNairy: dove quest’ultimo infonde un lato oscuro capace di inquietare, Magaro al contrario dota il suo Ray Jepsen di una gentilezza di fondo perfetta per renderlo un “buono” anche quando commette azioni criminose. Altra ottima prova per un attore sempre più bravo. 

Silver Haze

Tra i film internazionali presentati al Tribeca Film Festival 2023 quello rimasto maggiormente impresso è stato Silver Haze, di produzione olandese. Al centro della vicenda una giovane infermiera rimasta gravemente ferita in un incendio che dopo quindici anni ancora non riesce a superare il trauma. La storia d’amore con una paziente dell’ospedale in cui lavora le offre una nuova - forse ultima - opportunità per fare i conti con il passato e poter finalmente guardare al futuro. L’impianto fortemente realista architettato dalla regista e sceneggiatrice Sacha Polak si sposa perfettamente con l’interpretazione dolorosa della protagonista Vicky Knight, attrice realmente rimasta sfigurata in un incendio quando era ancora una bambina. Il coraggio dell’attrice, unito alla regia asciutta e mai sensazionalistica della regia, fanno di Silver Haze un dramma di notevole presa emotiva, che riesce ad evitare qualsiasi inutile pietismo.

L’ultima notte di Amore

Già uscito in Italia da qualche mese, il noir metropolitano diretto da Andrea Di Stefano ha messo d’accordo la critica e il pubblico del Tribeca, i quali hanno applaudito la messa in scena notturna e soprattutto l’interpretazione sommessa del protagonista Pierfrancesco Favino. L’ultima notte di Amore funziona nella fusione dell’impianto di genere con lo studio psicologico di personalità complesse, non retoriche. A nostro avviso l’antieroe al centro della vicenda diventa leggermente troppo “passivo” rispetto allo sviluppo della trama nella seconda parte del film, ma questo non toglie che si tratti di un lungometraggio sviluppato e diretto con evidente lucidità, un prodotto di genere che dimostra di conoscere pienamente e rispettare in maniera personale le regole del genere stesso. 

Afire

Già vincitore dell’Orso d’Argento allo scorso Festival di Berlino, Afire di Christian Petzold è un notevole studio di caratteri ambientato dentro una casa al mare in cui uno scrittore alle prime armi, il suo amico e una giovane donna condividono esperienze e drammi sentimentali. Il tono pacato e scorrevole di Afire consente a Petzold di sviluppare un personaggio principale molto credibile nel suo essere scorbutico, egoista, interessato soltanto ai propri problemi. Un ritratto di artista/letterato insicuro e fragilissimo con cui ci si riesce a riconoscere. Pur rimanendo quasi sempre respingente, il protagonista di Afire si segnala per la sua irritante verità, e questo diventa col passare del tempo il pregio maggiore di un film sincero, se non addirittura ispirato. 



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