domenica 26 giugno 2022

The Contractor: la recensione del thriller con Chris Pine in streaming su Prime Video

Sulla carta, di film come The Contractor ne abbiamo visti tanti. I richiami ci sono, sono ovvi, evidenti. Che il Ranger dell'esercito americano costretto al congedo perché ha usato steroidi per curare un ginocchio spappolato e servire il suo paese finisca a fare il mercenario, e che nel corso di una missione a Berlino dai contorni oscuri e il contenuto opaco si ritrovi da solo, e bersaglio di quelli che avrebbero dovuto essere "i suoi", non è particolarmente sorprendente.
Ma certi paralleli fatti con Jason Bourne reggono poco. In fondo reggono poco anche quelli con Rambo, sebbene forse, paradossalmente, i punti di contatto non manchino, in un caso come nell'altro.

Certo, se ci fermiamo al copione, che è di tale J.P. Davis, e che non è proprio eccelso, a dispetto di una curiosa ma non certo paranormale preveggenza su questioni che riguardano virus e vaccini, potremmo anche ragionare in termini del genere.
Ma The Contractor è un film diretto da Tarik Saleh, che è quello di film come Omicidio al Cairo, o del Boy From Heaven che vinto il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes 2021, e che qui, dopo aver diretto un episodio di Westworld e uno di Ray Donovan, firma il suo primo lungometraggio americano.
E il fatto che qui sembri voler essere quasi "invisibile", quasi "di servizio" alla sua storia e al suo personaggio, in qualche modo non fa altro che accendere di continuo spie lampeggianti che avvertono chi guarda che dietro la macchina da presa non c'è uno shooter qualsiasi.

È una questione di dettagli, di momenti, di sospensioni, di cambi di ritmo.
È una questione che riguarda il fatto che The Contractor è un film che avrebbe potuto essere un clone di un qualsiasi altro prodotto analogo, sulla carta, se non fosse che la mano di Saleh l'ha reso antispettacolare, crepuscolare e imploso, ma niente affatto poco adrenalinico, caricando situazioni e personaggi di un peso psicologico, etico e morale che sì, certo, è carico di ambiguità più americane che non di quelle raccontate altrove da Saleh (militariste, religiose, familiari, economiche), ma che ne fa un film di perdenti, di sconfitti, pervaso da una cupezza che non trova granché di riscatto nemmeno nell'inquadratura finale.


Guarda subito The Contractor su Prime Video

A dare una mano a Saleh c'è Chris Pine. Che, come abbiamo già avuto modo di dire, è per qualche strano motivo l'attore preferito di Quentin Tarantino (che però non l'hai scritturato in un suo film) e che si sta candidando a diventare per Prime Video qualcosa di simile a quello che Adam Sandler è per Netflix.
Qui Pine è la quintessenza dell'implosione e del tormento, un tormento gestito in maniera stoica e con un'inespressività ricercata, legata agli ideali della sopportazione, del sacrificio e dell'imperativo di mantenere sangue freddo e testa lucida perfino nelle situazioni più tese.
Quello di Pine è un antieroe compresso tra il peso di una vita passata a inseguire certi ideali (non tutti sanissimi) e quello di nuove, complesse e dolorose consapevolezze che emergono, e che emergono dalla necessità della salvezza.

La risoluzione delle vicende, in The Contractor, è ambigua, forse volutamente, sicuramente prevedibile. Ma ancora una volta: non è questione di sceneggiatura, quanto di regia. La regia di un Tarik Saleh che mette la firma su scene e inquadrature anche quando sembra far finta di niente, e fare il mero esecutore.
Una regia che, mentre guardi The Contractor, i suoi momenti più cupi che riflessivi, la gestione dei suoi dialoghi (quelli tra Pine e Ben Foster, e tra Pine e Kiefer Sutherland, e tra Pine e Eddie Marsan, per esempio), le sue scene d'azione studiatissime e di naturalistica efficacia, ti fa pensare che beh, in un film così certe cose non te le aspettavi proprio.
Il che, mi pare, è un risultato davvero da non sottovalutare.

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