lunedì 1 marzo 2021

Dal mumblecore allo Zoomcore: Language Lessons alla Berlinale 2021

Nei primissimi anni di questo nuovo secolo, negli Stati Uniti si affermò un nuovo filone di cinema indipendente che raccontava storie generazionali (i protagonisti erano per lo più gli allora trentenni) fatto con pochissimi soldi, tanti dialoghi e un sacco di improvvisazione. Lo chiamarono mumblecore.
Assieme al fratello Jay, uno dei nomi più importanti del mumblecore, con film come The Puffy Chair o Baghead, è stato Mark Duplass, che poi ha proseguito la sua carriera come attore, regista e sceneggiatore uscendo dal recinto del mumblecore in senso stretto e toccando generi come l’horror (in Creep), le produzioni un po’ più vicine al mainstream (recitando in Lo stravagante mondo di Greenberg, Zero Dark Thirty e Tully) e perfino l’universo delle serie.
E proprio nella serie HBO Room 104, che ha ideato, diretto e scritto col fratello, Duplass ha lavorato e stretto amicizia con Natalie Morales (che presto vedremo anche in Fino all’ultimo indizio), con la quale ha deciso di realizzare un film in gran segreto durante questi mesi di pandemia, prendendo spunto da qualcosa che gli è accaduto personalmente e che Morales ha sviluppato come sua co-sceneggiatrice e regista.
Il film, presentato nella sezione Berlinale Special al Festival di Berlino 2021 che si sta tenendo online per gli addetti ai lavori, si chiama Language Lessons. La storia, come il titolo fa intuire, gira attorno a un pacchetto di lezioni di spagnolo online che vengono regalate a Adam (lo stesso Duplass) un uomo che vive a Oakland e al rapporto speciale che, complici una serie di eventi che non racconto per non rovinare la sorpresa, nasce tra lui e Cariño (Morales), la ragazza che vive in Costa Rica e che è la sua insegnante virtuale.

A vent’anni di distanza dall’invenzione del mumblecore, Duplass e Morales affrontano quello che potremmo chiamare lo Zoomcore, raccontando una storia in qualche modo analoga a quelle di due decenni fa ma che passa tutta dagli schermi dei device dei due protagonisti da loro interpretati: cogliendo appieno, in questo modo, non solo i supporti ma anche i grandi temi di questa stagione pandemica nella quale siamo drammaticamente piombati un anno fa: la solitudine, il lutto, l’importanza fondamentale del contatto umano e la sua capacità rigenerante.
Attenzione, però. Perché Language Lessons non è affatto un film sulla pandemia, che non viene mai nemmeno nominata. È solo la storia di due persone che entrano in contatto casualmente, e virtualmente, e che finiscono con lo stringere un legame che è sì platonico, e forse tale rimarrà per sempre, ma è profondo e sincero.
Piattaforme come Zoom o similiari sono oramai così onnipresenti nella nostra vita, e per motivi così forzosi e spiacevoli, che vedere un film che in qualche modo ne replica il funzionamento - e per di più vederlo sullo schermo di un device casalingo, durante un festival che si svolge solo online - risulta inizialmente un po’ stucchevole. E questo è chiaramente un problema.
C’è però anche da dire che Morales e Duplass, sia come autori del copione, che come interpreti, riescono a superare questo imbarazzo iniziale, così come i loro personaggi superano quello reciproco, e a raccontare una storia che si segue con discreto interesse soprattutto in virtù della sua semplicità e della sua umanità.
Gli snodi del racconto, infatti, sono pochi, lineari e perfino un po’ prevedibili. Le vite private, dapprima solo quella di lui, poi anche quella di lei, entrano nelle loro conversazioni molto presto, in un gioco di tira e molla, in un nascondino dove l’esposizione di sé e le improvvise ritirate piene di pudore o diffidenza sono componenti ovvie ma sincere. In questi strani tempi che stiamo vivendo, in Adam e Cariño ci si può rivedere, o perlomeno riconoscere qualcosa e qualcuno di familiare, di quotidiano. Sia quando suscitano simpatia, che quando mostrano i loro aspetti meno gradevoli e più problematici.
E in questo, forse più che nel suo reale valore artistico, sta la forza di Language Lessons.



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