I fatti li dovreste conoscere un po' tutti (mi rendo conto di essermi già qualificato come patriarcale, senza asterischi, ma poco importa).
Per tutta una serie di motivi - tra i quali, ovviamente e principalmente, un grave lutto familiare, il suicidio della figlia - Zack Snyder abbandona la post-produzione di Justice League. La Warner chiama a sostituirlo Joss Whedon, che ha evidentemente un'idea di cinema e uno stile che poco si conciliano con quello del collega. Il film è un discreto flop. A questo punto, ecco che i fan di Snyder (esistono: a qualcuno Man of Steel e Batman v Superman son piaciuti) cominciano a farsi sentire.
Come lo fanno? Ma che domande: coi cancelletti, ovviamente. Siamo o non siamo nell'era in cui ogni battaglia viene comodamente combattuta dal divano a colpi di hashtag, magari con contorno di petizione, regolarmente online?
#ReleaseTheSnyderCut. Questo l'hashtag simbolo del movimento che ha esercitato tali e tante pressioni sulla Warner e sulla stampa che alla fine qualcuno non ce l'ha fatta più, e ha deciso di dare a Snyder soldi (e nemmeno pochi: alla fine sono stati altri 70 milioni di dollari) e spazio per finire il film esattamente come lo voleva lui, e anche di più, arrivano a quattro ore di racconto.
Fine della storia.
O no?
No.
Perché i cancellettisti dei cinecomic ci hanno preso gusto, e hanno iniziato a fare altre richieste. Ovviamente con le loro armi preferite.
#RestoreTheSnyderVerse e #ReleaseTheAyerCut sono i nuovi cancelletti della fandom fomentata dalla clamorosa vittoria della battaglia su Justice League. Una battaglia dagli strascichi ancora attuali, coi cancellettisti che risparmiano nemmeno le shitstorm social sui critici che hanno espresso riserve sullo Snyder's Cut, esattamente come in passato avevano bersagliato i membri della stampa che non ritenevano necessario quel cut vedesse la luce.
E a Hollywood, giustamente, qualcuno si sta preoccupando.
In casa Warner, tanto per rimanere lì, hanno subito annunciato che non hanno alcuna intenzione di dar seguito allo SnyderVerse, né di permettere a David Ayer di lavorare a un fantomatico suo cut di Suicide Squad.
La CEO di WarnerMedia, che si chiama Ann Sarnoff, è stata lapidaria su entrambe le questioni, nonostante il proliferare degli hashtag, e ha aspramente criticato quanti hanno attaccato sui social i critici che non hanno apprezzato Zack Snyder's Justice League. "Non siamo disposti a tollerarlo," ha dichiarato a Variety. "Quel comportamento è riprovevole, non importa di quale franchise o quale attività imprenditoriale si parli."
In passato la fandom di Snyder era stata bollata con la lettera scarlatta del nostro secolo, è statat definita tossica, suscitando l'irritazione del regista: ma Sarnoff ha risposto a questa stessa fandom utilizzando altre parole chiave della cosiddetta wake culture, parlando di safe space e di inclusione: "Siamo molto delusi perché vogliamo che questo sia un luogo sicuro in cui stare. Vogliamo che quella DC sia una fandom che si sente al sicuro, e inclusiva. Vogliamo che la gente possa parlare delle cose che ama, ma non vogliamo che questa sia una cultura in cui si cancelli ogni cosa che non rende felice una piccola fazione."
Quel che colpisce, al di là dello specifico, è come questo dibattito venga portato avanti dall'una e dall'altra parte utilizzando tutte le parole e le armi che sono al centro del dibattito pubblico contemporaneo negli Stati Uniti e non solo, tra coloro che sostengono la woke culture a forza di cancelletti e linciaggi online e quelli che invece lottano contro quella che definiscono cancel culture.
Se siete a digiuno di questi argomenti, probabilmente è solo perché siete appena usciti da un lungo periodo di prigionia in una grotta dell'Aspromonte, ma avete modo di rimediare in fretta leggendo un saggio divertente e illuminante che si chiama "L'era della suscettibilità", scritto da Guia Soncini e pubblicato da Marsilio.
Il caso della Warner e del film di Zack Snyder è emblematico perché rappresenta l'irrompere di questo tipo di discorso nel mondo del cinema, non tanto in termini di contenuti quanto di dinamiche produttive e industriali, e perché mostra chiaramente come la voglia di lottare per delle istanze che sono (o si ritengono) giuste tenda a tramutarsi rapidamente in qualcosa che con la democrazia e il volere popolare ha davvero ben poco a che fare.
E, peraltro, rivela anche come quella stessa Hollywood che si è prontamente piegata a ogni richiesta woke (compresa la cancellazione di certi registi o certi attori) quando si trattava di scelte artistiche e di contenuto, si irrigidisca immediatamente, non a torto, quanto i cancelletti vanno a invadere l'aspetto imprenditoriale ed economico della loro attività: ecco magicamente che ciò che fino a pochi minuti prima era progresso e giustizia, ora diventa violenza e cancellazione.
Io non ho visto Justice League, né il cut di Snyder, e mi importa pochissimo, in quest'ottica, sapere se è un capolavoro o una roba insostenibile.
Mi interessa il fatto che una major abbia speso 70 milioni di dollari per accontentare "il popolo della rete", qualunque cosa questa espressione significhi, per ascoltare "la gente", come si dice dalle nostre parti. E mi interessa il fatto che, esattamente come tante altre battaglie woke che impongono spesso con violenza e arroganza le loro idee, anche questa sia stata portata avanti da una minoranza molto rumorosa e, evidentemente, con tanto tempo a disposizione.
Non sono affatto sicuro che questo sia un segnale di progresso. Per il cinema, per Hollywood, ma neanche per la nostra società. Temo, anzi, possa essere l'inizio di qualcosa di pericoloso.
Secondo alcuni, gli eccessi della woke culture - si veda il recente caso delle traduzioni estere del libro della poeta afroamerica Amanda Gorman - sono frutto di dinamiche che sono funzionali al sistema economico. In questo caso, invece, il cancellettismo estremo questo sistema economico lo è andato a toccare sul vivo, e sembrerebbe essere stato respinto, dopo il cedimento rappresentato da Zack Snyder's Justice League. Ma non sarà è non potrà essere solo il Capitale, a gestire queste questioni spinose. Toccherà presto a tutti decidere da che parte si vuole stare, o come far sì che le battaglie di progresso siano realmente tali (anche al cinema) e non qualcosa di violento e di retroguardia.
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