Anders Thomas Jensen lavora sopratutto come sceneggiatore, ma il suo meglio lo da quelle poche volte che scrive per sé, invece che per i più importanti nomi del cinema danese contemporaneo (tra i quali, purtroppo, anche quello di Susanne Bier), e si mette dietro la macchina da presa per dirigere il film in prima persona.
A testimoniarlo c'è Le mele di Adamo, tanto per citare il suo titolo più noto, nonché l'unico finora distribuito in Italia: e c'è da sperare che almeno il suo nuovo film, che si intitola Riders of Justice e ha aperto ufficialmente il Festival di Rotterdam 2021, possa arrivare in qualche modo nel nostro paese.
Perfettamente a suo agio con diversi generi, e ancora di più quando ha la possibilità di mescolarne due o più assieme, Jensen ha però la sua firma distintiva nell'uso dell'umorismo nero, che ha contraddistinto tutti e cinque i suoi lunghi da regista. Compreso quest'ultimo.
In Riders of Justice si parte da un prologo quasi fiabesco in Estonia, nel quale una ragazzina chiede al nonno, come regalo di Natale, una bici - che però deve essere blu: "La devo ordinare", dice l'uomo che vende le biciclette - e si finisce in Danimarca, dove le vite del ruvido militare Markus (Mads Mikkelsen) e di sua figlia Mathilda (Andrea Heick Gadeberg) s'incrociano con quelle di tre nerd specializzati in statistica, scienze, informatica e varie altre cose (Nikolaj Lie Kaas, Lars Brygmann, Nicolas Bro), e con quelle di una pericolosa gang di motociclisti.
Perché, come la proverbiale farfalla che sbatte le ali a un capo del pianeta, provocando un uragano all'altro, il desiderio di quella ragazzina estone e svariate altre concomitanti circostanze faranno sì che le vite dei protagonisti vengano sconvolte in maniera imprevedibile, mettendo Markus e i suoi improbabili alleati sulle tracce della gang che, secondo loro, ha provocato un incidente in metropolitana per eliminare uno scomodo testimone, uccidendo così anche sua moglie.
Riders of Justice: il trailer del film
Riders of Justice è una ruvida e violenta storia di vendetta, con un Mikkelsen spietato che ha lo stesso look di Gifuni in La belva, e una glaciale letalità anche superiore. Ma Riders of Justice anche una commedia a tratti esilarante, grazie ai siparietti garantiti dai personaggi di Lie Kaas, Bryggman e Bro, che sembrano una versione parodica, patologicamente nevrotica e pateticamente di mezza età dei protagonisti di Big Bang Theory, e che col loro agire strampalato e idiosincratico nel bel mezzo delle situazioni più gravi, strappano risate scomode e mai troppo facili.
E, sopra a tutto questo, Riders of Justice è un dramma familiare ed esistenziale nel quale un padre e una figlia sono costretti a ritrovarsi l'un l'altra di fronte alla tragedia, e nonostante essa, e in cui tutti i personaggi riconquistano ciò che avevano perduto, degli affetti e la stima per loro stessi, e allo stesso tempo imparano a rassegnarsi di fronte alla complessità della vita e all'imponderabilità del caso. A capire che non sempre serve capire perché accada qualcosa, e ad accettare le conseguenze di ciò che è capitato.
Anders Thomas Jensen, proprio come i personaggi e la storia che racconta, è capace di essere spietato e tenero, stralunato e drammatico comico e favolistico. E in questo suo spericolato gioco d'equilibrio costante tra toni e registri ha una precisione matematica nella scrittura che si traduce mai in meccanicismo, ma in quell'eleganza naturale e l'esito sorprendente che può avere un'espressione complessa, o la dimostrazione di un teorema.
Ancora di più, colpisce l'attenzione che Jensen ha riservato ai dettagli della storia, alle sfumature, ai personaggi secondari: dal forse fidanzato di Mathilda fino a un buffo e tenero ragazzo ucraino liberato da Markus e i suoi dalla schiavitù sessuale, e che appare per la prima volta in una scena che richiama quasi un celebre episodio di Pulp Fiction.
Non solo Jensen è attento, ma fa anche sempre sì che tutto ciò che è dettaglio finisca col riflettersi in qualche modo nel disegno più grande, e che i personaggi secondari finiscano con l'essere essenziali anche per i protagonisti.
E nel fare tutto questo, importantissimo è anche il contributo di un cast con cui il regista è in perfetta sintonia (Mikkelsen e Lie Kaas sono stati protagonisti di tutte le sue precedenti regie) e che confermano - ce ne fosse il bisogno - l'altissimo livello della scuola attoriale scandinava, e danese in particolare.
Se, declinando a suo modo la teoria del caos e come l'entropia viene intesa in quel contesto, in Riders of Justice Jensen racconta che le coincidenze più incredibili possono, a dispetto di tutto e di tutti, essere prive di significato, è anche sempre attento a far sì che niente nella storia che racconta sia veramente casuale. Perché sa fin troppo bene quale sia la differenza tra il cinema e la vita, e cosa debba fare il primo per interpretare la seconda. Senza mai scordarsi di prendere le cose - anche le più serie - con un pizzico d'ironia.
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