venerdì 4 dicembre 2020

Sound of Metal: la recensione

Le due anime di Riz Ahmed nell’ultimo anno hanno dialogato come non mai. L’attore e rapper britannico di origini pakistane ha portato sul grande schermo le sue forme d’espressione creativa quasi in contemporanea, in due film. Prima in Mogul Mowgli e ora in Sound of Metal, dramma indipendente americano Amazon Prime Video firmato dall’esordiente Darius Marder, che costruisce una storia malinconica di amore schiacciato fra marginalità e dramma, che rimanda al Derek Cianfrance (qui nei panni di produttore) di Blue Valentine o Come un tuono, sceneggiato guarda caso anche da Marder.

Ruben (Riz Ahmed) è un batterista e la metà del duo Blackgammon insieme a alla cantante e fidanzata da quattro anni, Lou (Olivia Cooke). Fanno del metal pesante, quasi viscerale, come la provincia rurale in cui si muovono nel corso di tour di modeste proporzioni, vivendo in un motorhome. La musica e il loro amore sono serviti a salvargli la vita, visto che lui era un tossicodipendente e lei una depressa cronica. Ora sono sobri e insieme, iniziano anche a pianificare un futuro musicale che gli dia sempre più soddisfazione. Fino a una serata, durante un concerto, in cui Ruben inizia a perdere l’udito, che gli cala brutalmente e, scoprirà presto da una visita, in maniera irreversibile. Il suo sponsor gli consiglia una comunità di non udenti, gestita da Joe, reduce dal Vietnam, che sembra aiutare Ruben, mentre Lou deve allontanarsi, per permettergli di elaborare il lutto e accettare la sua nuova condizione.

Al cuore di Sound of Metal c'è l’accettazione dolorosa dell’inevitabilità di un cambiamento brutale, uno dei tanti in cui la vita non dà scampo e il tempo non permette scorciatoie o alibi, neanche se si hanno i soldi per affidarsi a una costosa operazione e l’impianto di un apparecchio. Niente sarà più come prima, per Ruben, che a questo punto si trova di fronte a un bivio: accettare l’esperienza sociale di una comunità, in cui tutti sono non udenti e lottano ogni giorno per non valutare la cosa come un handicap, oppure cercare un’esperienza sensoriale che non sarà la stessa di prima, attraverso un apparecchio pieno di disturbi e capace di isolarlo ancora di più.

Il film ha il merito di non sprecare parole o retorica, di non banalizzare la sordità romanticizzandola, ma raggiunge l’obiettivo di uno sguardo sincero e realistico, con una colonna sonora a tratti quasi sperimentale, che ci immerge nel mondo in cui si trova a vivere Ruben.

È proprio lui, l'eccellente Ruben di Riz Ahmed, appassionato e febbrile al punto giusto, a rendere credibile il complesso equilibrio di questo film, fra il dramma sull’America sempre in viaggio lungo le realtà più marginali e periferiche e la storia dell’elaborazione del lutto. Non dimenticando il melodramma senza alcuno svolazzo o scorciatoia, fra due solitudini che si sono salvate la vita a vicenda, compatibili per un momento del loro percorso, e ora si guardano negli occhi cercando di capire come proseguire. Un viaggio in cui la meta è smarrita, e rimane l’imprevedibile futuro e la lotta per affrontarlo con coraggio, apprezzando le tante piccole cose che ci circondano, anche a costo di risvegliarsi dal proprio sogno originario. In cui un batterista si ritrova a dover convivere con il silenzio, imparando ad amarlo.



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