Le due vedove, Gabriella e Aurelia, si tengono per mano e si sorridono, per nascondere le lacrime.
Pomata s'appoggia a un bastone con tutte e due le mani, il capo chino, gli occhi arrossati nascosti da un paio di grandi occhiali neri mentre Micione gli cinge dolcemente le spalle. Felice e l'Ingegnere, vicini, impettiti, spaesati, non riescono a togliere gli occhi dal feretro.
A rompere il silenzio è il pianto disperato del Cozzaro Nero, che viene guardato con sdegno dagli eredi del Conte De Blasi e dai figli dell'avvocato De Marchis.
Fuori dalla chiesa, il feretro viene deposto su un cocchio trainato da tre cavalli: Soldatino, King e D'Artagnan.
Pomata si avvicina lentamente, appoggia una mano sul lato della bara, e mormora qualche parola inaudibile.
A un suo gesto, il cocchio parte lentamente, gli amici di una vita si dividono per farlo passare, lanciando baci, fiori, bigliettini di giocate.
Per un attimo, Pomata rimane solo, lontano da tutti, in mezzo alla strada.
Gli si avvicina il figlio di Manzotin, intimidito.
- A Poma'... me dispiace. Lo so che c'avemo avuto i problemi nostri, in passato. Però io...
Pomata alza la mano dolcemente, come a interromperlo e dirgli "Non importa, acqua passata."
- No, no, famme dì. Perché lo so che pe'r funerale hai pagato tutto te, co' Gabriella e Aurelia.
- E te credo, l'artri nun c'hanno manco più l'occhi pe' piagne.
- Ce lo so. E so pure che manco te stai messo tanto bene.
- Bene nun ce so stato mai, io.
- E allora, ecco, stavo a pensa'...
- Ma lassa perde, nun te sforza' così tanto.
- No, dico, stavo a pensa' che magari io...
- Che magari cosa?
- Nun lo so. Magari potevo contribbuì pur'io.
- Ma no, co' tutti i sordi che v'avemo arrubbato nell'anni, lassa perde.
- Poma'. Acqua passata. Mandrake era... era Mandrake. Se me dici la banca, te posso fa' un bonifico.
- Macché bonifico, lassa perde.
- Poma'. Nun sia mai detto che er fijo de Rinaldi Otello è uno che nun onora l'amici morti. M'offendo eh. Dimme che te faccio er bonifico.
- Ma che bonifico, ma che t'offendi. Ma poi chi ce l'ha er conto in banca. Che ce metto in banca, li pidocchi?
- E come famo allora?
- Come famo, come famo... famo. Quanto c'hai in tasca te?
Il figlio di Manzotin estrae un portafogli gonfio di banconote. Non fa nemmeno a tempo ad aprilo che subito Pomata c'infila una mano dentro, tira fuori i soldi e inizia a contare.
- Cento, duecento, trecento, quattrocento...
- Vabbe' Poma' io pensavo...
- Zitto che perdo il conto... seicento, settecento e ottocento. So' troppi. Nun posso accetta'.
- Ecco io pensavo...
- E nun pensa' che te stanchi. Tiè, aripijate cento euri.
- Grazie Poma'.
- Grazie a te. Poi magari passo ar negozio, che me servivano le costolette d'abbacchio pe' stasera, pe' Gabriella e Aurelia: offri te no? In memoria der poro Mandrake.
- Sì sì, ce mancherebbe.
Il figlio di Manzotin si allontana un po' confuso, in direzione della sua macelleria.
Pomata s'incammina, seguoito dalle due donne, fa Felice, Micione e l'Ingegnere, nella direzione opposta, quella presa dal cocchio che portava il feretro dell'amico. Svolta l'angolo, si guarda indietro, non vede nessuno, e allora fa un fischio.
Da una porticina esce Mandrake, i capelli e la barba candidi, il sorriso smagliante di sempre.
- C'è cascato?
- E certo che c'è cascato, Pomata nun fallisce mai.
- E quanto t'ha dato?
- Settecento euri.
- Settece... mecojoni. Sbrigamose che tra poco parte la corsa. E me raccomando: tutti su Vischio maschio. Vincente.
- A Mandra'.
- Che c'è?
- È Whisky maschio, no Vischio maschio.
- Cor fischio?
- Noo.
- Cor caschio?
- Nemmeno.
- A Poma', famo come te pare a te. Basta che annamo a gioca'. E poi oh, lo sai: a Mandrake, come ar Cavaliere Nero, nun je devi caca'r cazzo.
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