Uno sguardo lucido sui mutamenti della sua Cina, sempre al centro delle sue storie e con un ruolo cruciale insieme ai personaggi che ha raccontato in trent’anni di carriera. Jia Zhangke si presenta con un sorriso e l’entusiasmo di un ragazzo nell’affrontare le evoluzioni tecnologiche, del nostro tempo e di conseguenza del suo cinema. Occhiali da sole per un piccolo problema agli occhi, la figura più autorevole della cosiddetta “sesta generazione” del cinema cinese ha accompagnato a Roma, dove l’abbiamo incontrato, ma anche in altre città italiane, il suo nuovo film, in italiano Generazione romantica, appena uscito in sala per Tucker Film dopo essere stato presentato allo scorso Festival di Cannes.
Scritto dal regista, insieme a Wan Jiahuan, Generazione romantica è interpretato dalla musa di Jia Zhangke, Zhao Tao, insieme a Li Zhubin. Racconta di un uomo e una donna, “una storia d’amore come tante”, come indica la trama ufficiale. Siamo a Datong, in Cina, all’alba del nuovo millennio. Le cose tra Bin e Qiaoqiao sembrano andare bene, la vita scorre leggera a ritmo di musica, ma Bin decide improvvisamente di partire: questione di affari. Manterrà la promessa di ritornare? Qiaoqiao si fida. Lo aspetta. Poi, prendendo atto che i giorni del dancefloor e delle canzoni sono finiti, si mette in viaggio per cercarlo.
Jia Zhangke ha diretto una storia sospesa tra documentario e finzione. Lo abbiamo intervistato.
Quando si è reso conto che in queste immagini del passato c’era un film, una storia da raccontare?
Già dalle riprese, quindi nel 2001, avevo ben chiaro di poter raccontare una storia. Parliamo del momento in cui è arrivato il digitale, volevo creare una sorta di film itinerante, prendendo la macchina da presa, andando con i miei attori sul campo a girare, registrando i loro dialoghi. Però il materiale all’epoca non era sufficiente, quindi nell’arco di tutti questi anni ho continuato a girare, cominciando a completarlo poi solamente nella seconda metà del 2020, quando mi sono reso conto che poteva diventare la storia specifica che ho raccontato in Generazione romantica.
Quanto è importante il tempo nel suo cinema? il film ci racconta ad esempio come incida sui luoghi e sulle persone.
Il tempo svolge un ruolo cruciale per me, in particolare nei miei ultimi tre film, soprattutto ne I figli del fiume giallo. Hanno un arco narrativo molto lungo, sempre intorno ai vent’anni. Generazione romantica inizia nel 2001 e si conclude al giorno d’oggi. Dopo aver realizzato film, infatti, sempre legati a un arco temporale piuttosto breve mi sono incuriosito su come gli individui cambiano. Il corpo e l’età portano a una variazione, condizionato anche dalla società. Nell’ultimo decennio siamo stati sommersi da informazioni molto frammentarie e in questo contesto mi sono detto che avevo bisogno di più tempo per analizzare il destino delle persone. Per dare un quadro completo dei personaggi e della loro storia, adottando anche un punto di vista più storico, ho voluto compiere questo tipo di scelta. Quindi ho sentito l’esigenza di andare in contrapposizione con il rapporto con il tempo che avevo avuto nei film presenti.
Quanto era importante per lei raccontare, insieme ai personaggi, anche la Cina, il suo paese in continuo mutamento?
È sempre stato importante per me, ma questa volta, in Generazione romantica, mi sono focalizzato in particolare sulla tecnologia. In Platform, ambientato negli anni ’70, era ben evidente il cambiamento in corso, così come in Still Life, era al centro il boom economico, senza dimenticare la sua ricaduta sociale, invece in questo film una novità per me è una rinnovata attenzione verso la tecnologia, che prima era del tutto assente. Mi sono reso conto, durante la pandemia, che tutto si era fermato, a parte la tecnologia, che continuava a svilupparsi e progredire. Ho vissuto l’era di internet, poi quella del digitale, ora stiamo entrando in quella caratterizzata dall’intelligenza artificiale.
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