Il più grande dono di James Cameron è l'immaginazione, un'immaginazione che corre veloce proprio come i Direhorse di Avatar: pensieri e visioni da acchiappare per la coda prima che spariscano per lasciare spazio ad altri pensieri e altre visioni. Il regista di Titanic e Terminator disegnava già da bambino, perché disegnando fissava su un foglio di carta le immagini che attraversavano la sua mente in un lampo. Disegnando, inoltre, sfogava rabbia e paure, ad esempio mettendo nero su bianco (o meglio colore su bianco) persone abbandonate su un pianeta sconosciuto o comunque in pericolo. Col passare del tempo, i disegni sono diventati storie, e le storie si sono trasformate in film, film in cui muoversi liberi ma con un obiettivo ben chiaro: trasmettere emozioni.
Forse non stiamo dicendo niente di nuovo su un regista che non è possibile non amare, ma è stato lui stesso a (ri) condurci su questa strada durante una straordinaria masterclass moderata dal direttore del Museo del Cinema di Torino Carlo Chatrian. Cameron sarebbe dovuto volare dalla Nuova Zelanda a Torino, dove avrebbe ricevuto il premio Stella della Mole, ma è rimasto a Wellington, e da Wellington, dove sta girando uno dei suoi Avatar, ha risposto alle domande di Chatrian e a quelle del pubblico. Incontrarlo di persona sarebbe stato bellissimo, ma già ascoltarlo per un’ora è stato un regalo grandissimo, e abbiamo ancora le gote rosse per la gioia infantile che abbiamo provato.
Sono tanti gli argomenti che ha toccato James Cameron, a cominciare dalla sopracitata libertà di pensiero, conditio sine qua non, insieme alla leggerezza come la intendeva Italo Calvino, per poter inventare un mondo: "Insieme alla parola leggerezza mi piace utilizzare il termine 'intimità', nel senso che, quando costruisci un universo, hai la precisa responsabilità di cercare di capire come sarà esattamente quell’universo e come saranno i suoi personaggi. Devi rimanere fedele a quei personaggi, per fare in modo che il pubblico sia in grado di identificarsi con loro, e proprio questo è il lavoro che faccio con gli artisti che lavorano con me. Adesso ci stiamo occupando degli effetti visivi di Avatar 4 e siamo tanti, ma c’è un’equipe base di 3 o 4 persone che seguono fin dall'inizio il flusso delle mie idee: production designer, scenografi, il direttore della fotografia. Poi ci sono gli attori. Ci deve essere tra tutti noi una specie di intimità mentale ed emotiva. Gli attori devono riuscire a capire i loro personaggi: cosa sentono e anche cosa sento io, ed è per questo che essere uno scrittore è importante, perché non può esserci una rappresentazione visiva senza una storia che supporti l'immagine. Queste immagini, che si possono sviluppare e che sono funzionali alla storia, sono un ponte fra l’immaginazione e il prodotto finale. In questo caso stiamo parlando di finzione, di narrativa, e anche se siamo su un pianeta estraneo con personaggi strani, questi personaggi si comportano come esseri umani suscettibili di essere compresi dal pubblico di tutto il pianeta. Proprio per questo credo sia molto importante riuscire a capire cosa c’è dentro di noi: la paura, l'odio, l'amore per la nostra famiglia e così via. Siamo tutti accomunati da simili cose, e questo è il grande potere dell’arte, che prende un’esperienza e la riversa all’esterno, in modo tale che tutti vi si riconoscano".
A Torino James Cameron avrebbe anche dovuto vedere la mostra a lui dedicata e ospitata proprio dal Museo del Cinema (all'interno della Mole Antonelliana). Intitolata The Art of James Cameron, offre ai visitatori un viaggio avvincente nel percorso creativo del regista. I sei decenni di espressione artistica di Cameron vengono raccontati attraverso una straordinaria selezione di opere rare, tratte dall'archivio del filmmaker. Sono molti i disegni presenti, fra cui il ritratto di Rose nuda fatto da Jack Dawson. Ovviamente stiamo parlando di Titanic, e Cameron ci svela qualcosa che non sapevamo: "Nel film, quando vediamo Leonardo DiCaprio che disegna, vediamo la sua mano destra. Ora, Leonardo non è capace di disegnare, quindi ho fatto io il disegno. Naturalmente Kate Winslet non posava nuda. Mi sono detto: 'Userò l'immaginazione', e sono rimasto serio per tutto il tempo. Però c’era un problema, perché, quando ho disegnato, ho usato la mano sinistra, Leo invece doveva disegnare con la destra. Io non so disegnare con la mano destra, quindi nel film la mia mano sinistra era al posto della mano destra di Leonardo. Quando si disegna, è importante il movimento del polso, e, quando fai il chiaroscuro, disegni una specie di arco, ma noi non potevamo far vedere questo movimento, e perciò ho utilizzato soltanto movimenti limitati, tracciando linee ma non facendo le ombre. Ho cercato di non pensare. Devo essere distratto per disegnare bene, non devo essere totalmente consapevole di quello che faccio. Nel disegno di Rose c'è un uso della luce alla Caravaggio, alla Rembrandt. Jack è una specie di osservatore dell'anima delle persone e volevo che si vedessero le sue mani mentre disegnava, perché le mani sono molto importanti, rappresentano l’anima della persona. Lui si focalizza su Rose e la mostra esattamente com'è, per questo è nuda. Volevo che Rose apparisse la persona che era, in modo tale che ci potesse essere una connessione emotiva anche con il pubblico".
Sempre partendo dalla mostra, Carlo Chatrian fa un salto all'indietro nel tempo e chiede a James Cameron di raccontargli di quando apparteneva alla factory di Roger Corman e della sua collaborazione con John Carpenter per 1997: Fuga da New York, per cui lavorò sui fondali e sulle scenografie: "Eravamo giovani, i miei collaboratori ed io, dei ventenni ambiziosi. Avevamo tante idee e tanta energia, potevamo lavorare giorno e notte senza fermarci ed eravamo 'a servizio' di Roger Corman. Avevo lavorato per I magnifici sette nello spazio, creando un'infrastruttura con il motion control eccetera, con me c’erano delle persone stupende. Il progetto a un certo punto finì e mi ricordo che ero a una festa e venni presentato al production designer di 1997: Fuga da New York, che mi disse: 'Non abbiamo soldi', 'Ma noi possiamo fare per voi quello che voi non potete fare' - risposi, e praticamente ci siamo accordati lì semplicemente con una stretta di mano e ho lavorato al film di John Carpenter, che è stato una specie di matrimonio fra due culture low budget. John Carpenter era famoso, però continuava a disporre di budget piuttosto limitati, e noi eravamo degli esperti di effetti visivi che non vedevamo l'ora di metterci all'opera, quindi ci siamo trovati. Non avevo davanti Spielberg e Kubrick, ma John Carpenter per me era comunque un modello, perché era arrivato dal nulla. Ha fatto tantissimo con pochissimo denaro. Era il mio punto di riferimento".
1997: Fuga da New York è del 1981. Nel 1994 James Cameron ha diretto Terminator. Anche qui tutto è partito da disegni, e il regista si trovava a Roma: "Per la macchina ho pensato a un sogno che avevo fatto in cui c'era uno scheletro cromato che usciva dalle fiamme. Quando ho cominciato a disegnarlo ero a Roma. Ero completamente al verde. Dormivo in una piccola pensione ed ero in ritardo col pagamento della stanza. Mi è venuta in mente questa immagine e ho pensato: benissimo, Terminator è stato danneggiato, spezzato in 2, ma non si ferma. Così ho fatto lo sketch che vedete nella mostra. Ho impiegato parecchio tempo a trovare i soldi per il film e, mentre aspettavo, ho fatto molti disegni tecnici".
Nel 1993, insieme a Scott Ross e Stan Winston, James Cameron ha fondato la Digital Domain e ha ripensato a Xenogenesis, un corto del 1978 di cui The Art of James Cameron mette in mostra un disegno: "Fondammo la Digital Domain perché volevamo sviluppare nuovi modi per creare personaggi e ambienti utilizzando la computer animation. Ho ritrovato i disegni di Xanogenesis e ho deciso di disegnare una storia diversa incorporando quegli elementi: la bioluminescenza, le creature strane, cose che ho riportato in vita e inserito in Avatar. All'epoca ero estremamente ambizioso, e mi ricordo che disegnavo tantissimo per Xenogenesis, e tutto si è modificato per Avatar quasi 20 anni dopo. Poi ci sono voluti ulteriori 10 anni per sviluppare la tecnologia che avrebbe creato il vero Avatar, e quindi eccomi qui che lavoro ancora su Avatar, su Pandora. Sono passati molti anni, in pratica è un progetto che ha preso tutta la mia vita. Molti mi dicono: 'Ma come fai a esser soddisfatto a lavorare su un'unica tipologia di film?'. A me piace, è un mondo così ampio che le cose da descrivere sono infinite, è un universo ricchissimo, esattamente come il mondo in cui viviamo. La terra ha molti biomi, diverse culture, diversi climi e così via. Ciò che mi interessa è che Pandora rispecchi in modo divertente il nostro mondo".
L'ultima parte della masterclass di James Cameron è dedicata alle domande del pubblico. Un signore chiede al regista quali film lo abbiano stregato quando era ragazzo e lui risponde: "I film che all'epoca andavano per la maggiore e che adoravano erano L'isola misteriosa e Il 7° viaggio di Sinbad, in cui c'erano delle creature pazzesche. Mi hanno stimolato tantissimo, facendomi capire che desideravo fare il regista. Poi ho visto 2001: Odissea nello spazio e mi sono chiesto: 'Come sono riusciti a fare tutto questo?' Volevo scoprirlo, avevo 14 anni e volevo sapere come avevano realizzato quel film che era magia pura. C'era un librone che raccontava com'era stato fatto e che mi ha aiutato a formare la mia mente. Ovviamente ora guardo un film lo in maniera completamente diversa perché sono un regista anche io e ho un mio stile, e devo ammettere che ora trovo 2001: Odissea nello spazio molto freddo, privo di passione, però la visione di Stanley Kubrick è grande, magnifica e ambiziosa, e i suoi spazi sono veramente senza tempo e lo saranno ancora per mille anni. Dopodiché è arrivato Guerre stellari, e non voglio dire che ho fatto qualcosa per contribuire al successo di Guerre stellari, ma che avevo delle idee e, andando al cinema, non riuscivo a trovare niente di simile. Poi ho visto quel film e il mio cervello è esploso. Ho detto: 'Benissimo, se questo può essere il film più di successo del mondo, allora posso mettere la mia immaginazione all'opera e creare qualcosa di simile, magari qualcosa di più piccolo. Penso che Guerre stellari mi abbia permesso di fare sogni in grande. Non sapevo come avrei fatto ma ero sicuro di volerlo scoprire".
La domanda di chiusura è sui cinecomic, che Cameron apprezza, pur trovandoli solo di intrattenimento: "Il mio punto di vista non è così diverso dal vostro, perché anche io ero un fan dell'universo DC, dell'universo Marvel, e amavo Batman, Superman, Spider-Man, Hulk. Erano tutti outsider e anche io ero un outsider negli anni '60, ero molto anti establishment, e quindi questi tizi super patriottici con la pistola in mano pronti a fare qualsiasi cosa mi piacevano moltissimo. Oggi fanno parte di un'industria enorme e sono il nostro nuovo pantheon, i nostri dei, e sono un po’ come gli Dei dell'Antica Grecia, che devono mostrare di avere gli stessi difetti che abbiamo noi. Però la domanda che sorge spontanea è: quanto dovremmo sentirci intrattenuti da persone che passano attraverso i muri, volano alla velocità della luce ma hanno ben poco di umano e quindi il pubblico non riesce a riconoscersi in loro? Per me è difficile sviluppare un attaccamento a questi personaggi. Non voglio dire che io faccio film migliori dei cinecomic, però tento di costruire personaggi umani, affinché alla gente interessi se qualcuno muore, se qualcuno prova un'angoscia molto profonda, eccetera, e penso che lo scarto tra i fumetti e il mondo cinematografico dei fumetti stia proprio in questa differenza di profondità dei personaggi. Se pensiamo a I Guardiani della Galassia, sicuramente c'è molto humor, che però crea distanza tra te e le emozioni dei personaggi. Guillermo del Toro mi dice che non ho nessuna ironia e io gli rispondo: 'Grazie, lo so, ma cerco di essere molto onesto'. Io voglio stimolare il pubblico. Voglio che qualcuno pianga! Non so se si piange a vedere un film Marvel. Magari una lacrimuccia ti scende, però non è quell'emozione forte che creo io e che deve veramente entrarti dentro. Non sto sminuendo in alcun modo i cinecomic. Mi piacciono tantissimo, vado sempre a vederli quando ne esce uno nuovo, perché da adolescente ero un grande fan dei supereroi, soprattutto di Spider-Man".