sabato 20 gennaio 2024

Il Cacciatore: la roulette russa, la banalità del male e quella tumultuosa edizione degli Oscar...

Rivedere Il Cacciatore a 45 anni dalla sua uscita, e rivederlo sul grande schermo, è un'esperienza bellissima, emozionante e assolutamente necessaria, soprattutto se lo si guarda lasciandosi andare al suo struggente racconto, ai suoi splendidi paesaggi, al suo ritmo, alla malinconia di Michael Vronsky (Robert De Niro), alla tragica follia di Nick Chevatorevich (Christopher Walken) e all'infinita dolcezza di Linda (Meryl Streep), personaggi che ci piace chiamare per nome perché li conosciamo da tanto tempo.

Assaporando ogni secondo di 182 minuti di puro cinema, chi il 22, 23 e 24 gennaio comprerà un biglietto per la versione restaurata in 4K de Il Cacciatore, si ritroverà a contemplare gli orrori della guerra del Vietnam attraverso lo sguardo di tre giovani operai di un'acciaieria in Pennsylvania, si lascerà contagiare dalla tenerezza di due sposi innamorati, avrà l’impressione di fare compagnia a John Savage in una gabbia in cui i Vietcong chiudono i prigionieri riottosi e si troverà ad assistere alla déblacle di un reduce incapace allontanare i propri demoni. Dolente romanzo di formazione e lucida radiografia di un paese che, per celebrare la propria grandeur, manda al patibolo i suoi figli, Il Cacciatore è forse il film più bello della storia del cinema, e come tale merita la visione nel buio di una sala in religioso silenzio.

Il Cacciatore: un film in tre parti

Il Cacciatore si divide idealmente in tre parti: il matrimonio di Steven Pushkov, il Vietnam e il ritorno a casa di Michael. Chi ha visto il film di Michael Cimino soltanto una volta, magari in tempi lontani, si stupirà della durata del "capitolo" nozze del personaggio di John Savage, anticipate da un addio al celibato ad alto tasso alcolico e seguite da una battuta di caccia al cervo. Gli avvenimenti che precedono la partenza di Steve, Michael e Nick per la guerra durano più di un'ora, e quando ci si sposta in Vietnam, il ritmo cambia e le inquadrature si fanno più brevi. Gli attacchi si succedono, si alza il fumo e il temibile Charlie si nasconde in ogni dove, pronto ad attaccare. Un anno dopo sarebbe uscito Apocalypse Now, che del conflitto che si concluse con la caduta di Saigon ha raccontato la crudele follia partendo da "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad. Nel Cacciatore non c'è nessun Colonnello Kurtz. C’è invece il fiume, ma l’immagine di Robert De Niro con il viso sporco e una fascia sulla fronte sotto una sudicia piattaforma galleggiante rimanda soltanto in apparenza a una delle inquadrature simbolo del film di Francis Ford Coppola: il viso dipinto di Michael Sheen che esce dall’acqua e viene avvolto dal vapore. Non c’è epica, insomma, sotto quel legno intrecciato, non c'è solennità e forse non c'è nemmeno la speranza di salvezza. L'Inferno è arrivato nel Sudest asiatico, in mezzo a topi grossi come marmotte, e visto che siamo all’Inferno, non si muore da eroi ma per un colpo di fortuna, dopo essersi puntati una pistola alla tempia augurandosi che la camera di scoppio sia vuota. Ovviamente stiamo parlando della scena più celebre del film e che si ripeterà in due varianti: la sequenza della roulette russa, spietato gioco d'azzardo che occupa una buona parte dei 45 minuti del secondo atto de Il Cacciatore.

La roulette russa nel Cacciatore: storia di una menzogna e di un Oscar discusso

Ne Il Cacciatore, la roulette russa ha una forte valenza simbolica, perché rappresenta la banalità della morte, e quindi della vita umana, e toglie valore all’individuo, che è solo un insieme di numeri e lettere su una piastrina di metallo dagli angoli stondati. Probabilmente è stata questa la ragione per cui Michael Cimino ha scelto una pratica così aberrante, che ad ogni colpo simula l’annientamento dell’essere umano e costituisce l'ultimissimo atto prima della fine, in un crescendo di angoscia sottolineata da una serie di primi piani. Metafore a parte, forse non tutti sanno che la presenza della roulette russa nel film ha scatenato un vespaio di polemiche. Due sono state le accuse che hanno pesato sul regista: razzismo e mancanza di accuratezza storica.

Michael Cimino accusato di razzismo

Quando Il Cacciatore arrivò in sala, in molti criticarono Michael Cimino per il ritratto spietato dei vietcong, intenti a torturare i loro prigionieri sotto al ritratto di Ho Chi Minh. Particolarmente malvagio appariva il capo dei carcerieri, per interpretare il quale fu scelto un attore che detestava profondamente gli americani e che quindi non si trovò a dover fingere. A schierarsi contro il regista furono diversi giornalisti e critici cinematografici, fra cui la celeberrima e spesso detestata Pauline Kael. Prima di parlare dei suoi commenti e delle opinioni di altre penne illustri, è importante raccontare ciò che accadde a ridosso della cerimonia degli Oscar del 1978 che si concluse con la vittoria di 5 statuette dorate da parte de Il Cacciatore.

Tre ore prima dell’annuncio e della consegna a Cimino dell'Oscar per il miglior film, ai signori e alle signore dell'Academy che avevano votato a favore di quel premio fu consegnato un pamphlet di 8 pagine che definiva ll Cacciatore: "un attacco razzista al popolo vietnamita". Inoltre, fuori dal Los Angeles Music Center, la polizia arrestò diversi membri della comunità dei Vietnam Veterans Against the War, che manifestavano contro le imprecisioni storiche de Il Cacciatore. Infine, mentre, in una città paralizzata dal traffico, i signori dell'Academy tentavano di non arrivare tardi alla cerimonia, gruppi di protesta contro la guerra del Vietnam tentavano sottoporre alla loro attenzione articoli che infamavano Michael Cimino. Stando al racconto di uno dei presenti alla premiazione, ci fu un imbarazzo generale quando venne annunciato l'Oscar per il miglior film. "Nel momento in cui è stato letto il nome del vincitore" - raccontò costui - "era come se qualcuno avesse chiesto a una ragazza di sposarlo e, al suo sì, avesse provato orrore per la risposta. In quel momento ho avuto la sensazione che, se la votazione fosse stata chiusa una settimana dopo, Il Cacciatore non avrebbe vinto".

Tornando alla stampa che non gradì Il Cacciatore, qualcuno scrisse che il film era "una violazione criminale della verità" e "un'orrenda storia" nella quale tutti i non americani erano "sudati, pazzi, feroci e depravati". Un giornale sovietico, invece, era dell’idea che il film avesse mostrato una guerra in cui le vittime e gli aggressori si erano scambiati di posto”. Quanto a Pauline Kael, osservò che i vietcong venivano raccontati ricorrendo agli stessi stereotipi, in particolare crudeltà e sadismo, che avevano caratterizzato il classico ritratto dei giapponesi durante della Seconda Guerra Mondiale".

Molti attori si indignarono vedendo Il Cacciatore, ad esempio Julie Christie, che al Festival di Berlino lasciò la sala a metà proiezione con un codazzo di persone al seguito.

Nessuno giocò alla roulette russa durante la Guerra del Vietnam

A scatenare il risentimento contro Il Cacciatore è stata soprattutto, come già detto, la scelta della roulette russa come simbolo dell'assurdità della guerra. Il giornalista dell'Associated Press Peter Arnett, che vinse un Premio Pulitzer per i suoi servizi d'inchiesta sul Vietnam, scrisse sul Los Angeles Times: "In 20 anni di guerra non c'è stato un solo caso documentato di roulette russa. La metafora principale del film è semplicemente una brutale bugia".

A correre in difesa di Michael Cimino fu il Presidente di Universal Pictures Ned Tanen, che dichiarò:

È logico che quelle cose non sono successe per davvero. Si tratta di un film, e i film si servono di metafore. Sono fiero del Cacciatore (…) Cimino non voleva fare un film razzista. La sua intenzione era di raccontare l'amicizia e la solidarietà che legava le persone che sono partite volontarie per le nostre guerre.

C’è un’ultima cosa da dire sulla roulette russa, o meglio sulla sua origine. La verità è che non si sa se la roulette russa sia effettivamente nata in Russia. Probabilmente, l'aggettivo "russa" dipende dal fatto che la prima descrizione di questa terrificante pratica è contenuta nel romanzo "Un eroe del nostro tempo" scritto da Michail Lermontov nel 1940.

Epilogo

L'ultima parte de Il Cacciatore è incentrata sul ritorno a casa di Michael, che trova Steven psicologicamente devastato e con il corpo gravemente mutilato. Anche chi è rimasto in Pennsylvania ha perso la spensieratezza di prima, mentre a Saigon Nick, incastrato in un dolore sordo, gioca all'infinito alla roulette russa. L'insensata Guerra del Vietnam, decisa nelle stanze del potere, ha cancellato il sogno di una nazione ancora giovane come gli Stati Uniti, qui rappresentati dalla piccola comunità russo-americana a cui appartengono i personaggi: uomini e donne che in fondo non vogliono che una vita semplice, serena, magari una famiglia.

Il Cacciatore si apre con un matrimonio e si chiude con un funerale, imitato nella realtà dalla morte di John Cazale a riprese ancora in corso. Cazale era il compagno di Meryl Streep, e forse è proprio Linda, il personaggio affidato all’attrice, a essere la metafora dell'America di quel tempo là. Ci piace pensare che la damigella nuziale vestita di rosa, costretta in un secondo momento a indossare il nero del lutto, rappresenti la quasi definitiva perdita dell’innocenza di un paese che all'epoca era già colpevole di razzismo, discriminazioni e ingiustizie sociali.



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