Non è un film facilmente raccontabile, Valley of the Gods di Lech Majewski, interpretato da John Malkovich e Josh Hartnett, in uscita nelle nostre sale il 3 giugno: indipendente e sperimentale come vuole il curriculum del regista di I colori della passione e Onirica, ci è stato introdotto in conferenza stampa da lui stesso e da due membri del cast, Bérénice Marlohe e il mitico Keir Dullea, interprete di 2001: Odissea nello spazio per Stanley Kubrick. Prima di introdurvi gli argomenti di cui si è discusso, vi mostriamo una clip esclusiva proprio con Malkovich, nei panni di un uomo che si finge un senzatetto ma ha una vita ben diversa in un'incredibile dimora...
Valley of the Gods: la ricchezza moderna, la tradizione navajo ancestrale
Tramite la figura di uno scrittore in crisi (Josh Hartnett) che cerca di ritrovarsi nella terra dei Navajo, Valley of the Gods unisce due storie oniriche: quella del magnate Tauros (Malkovich), che cerca inutilmente di elaborare un lutto e assume lo scrittore, e quella di una riserva indiana che sta per essere di fatto profanata dagli scavi dello stesso Tauros per la ricerca dell'uranio. Quale dei due mondi può avvicinarsi con più successo al divino? Majewski non ha dubbi e ci spiega: "I Navajo sono a loro agio con la propria vita interiore, è più affascinante. Ho incontrato molti miliardari che collezionano arte moderna come Tauros, m'intrigava l'idea del grande potere che arriva dal denaro, che mette a disposizione potenzialità enormi, ma che impedisce ai ricchi di avere una vita ordinaria, i miliardari hanno una vita paradossalmente più limitata della mia."
Majewski era affascinato, racconta, da quello che lui chiama il "diapason" tra ricchi e poveri: i Navajo sono poveri, eppure intorno a loro c'è la ricchezza della Silicon Valley. La stessa troupe ha rappresentato per la riserva di nativi un'occasione d'incontro: Valley of the Gods è il primo film "bianco" realizzato presso quella popolazione. Lech ha scoperto una tradizione culturale che legge la natura come noi non sappiamo fare, ma soprattutto ha un legame costante e sempre vivo con il passato e con le passate generazioni (i loro totem rappresentano proprio quelle).
Valley of the Gods quindi per Majewski mette in scena uno scontro di mitologie, l'antica rappresentata dai Navajo che venerano la Terra e la contemporanea incarnata da Tauros, una sorta di Elon Musk con un'identità segreta che richiama supereroi come Batman (Lech ammette l'ammiccamento ironico): Tauros tuttavia non è appagato dalla mitologia che incarna, ma ne venera un'altra che non potrà mai avere, un libero pauperismo, un'essenzialità venerata in un Museo della Povertà che ospita nella sua enorme casa.
Majewski usa a volte lo stile del cinema commerciale hollywoodiano per prendersene gioco, com'è chiaro nel folle climax finale del film: la chiama ironicamente "vendetta", verso un uso del mezzo lontano da una precisa missione. Quale? "I film arricchiscono la mia personalità, sono un viaggio dentro me stesso". Chiarisce meglio Bérénice Marlohe, interprete di una donna pagata da Tauros per fingersi la sua scomparsa moglie: "Come esseri umani abbiamo una missione: trascendere la nostra condizione." Non vivendo come i Navajo, sembra suggerirci Majewski, non ci rimane che farlo tramite l'arte, per evitare di soccombere all'assenza di senso, come capita al perso Tauros.
Valley of the Gods, due attori per un regista fuori dai canoni
Keir Dullea in Valley of the Gods veste i panni del maggiordomo di Tauros, suo misterioso complice. L'attore, classe 1936, attivo in più cinematografie, da Kubrick all'Italia (recitò in Le ore Nude e Il diavolo nel cervello), apprezza il set creato da Lech Majewski: "Lech è quello più vicino a Stanley Kubrick, è molto attento al dettaglio. Crea ambientazioni straordinarie da guardare. Il suo I colori della passione mi aveva attivato, ho voluto lavorare con lui." Per Bérénice Marlohe, la molla è scattata sul piano della ricerca spirituale: "Majewski dà valore all'arte, in tutte le sue forme. Film del genere sono molto rari. M'interessano le questioni esistenziali come interessano a lui. È un regista dedito all'esplorazione della dimensione spirituale". Un percorso che Majewski ha intrapreso con una grande fiducia nell'immagine, uno degli aspetti più ossessivamente curati del suo cinema, con le radici nella pittura, per lui perfetto "riflesso dell'animo umano". D'altronde per Lech l'immagine è già di per sé comunicativa, tanto che confessa di essersi formato col cinema italiano più curato da questo punto di vista, senza nemmeno all'epoca comprendere alcunché della nostra lingua. Un film che l'ha segnato in questo senso? Blow-Up di Michelangelo Antonioni.
Valley of the Gods arriva nelle sale italiane grazie alla collaborazione tra Lo Scrittoio e CG Entertainment, che - ci viene spiegato - proprio per valorizzare un cinema d'autore non convenzionale, ha momentaneamente accantonato la sua vocazione alla distribuzione digitale.
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