A volte basta davvero poco per capire se è un film è buono. O viceversa.
Bastano poche inquadrature, due tagli di montaggio, la scelta di una colonna sonora. Basta questo, a volte, per capire se hai a che fare con un regista capace di creare un’atmosfera - come il brandy italiano di una volta - oppure a uno che ci prova, ma col cinema non ha quel contatto immediato, epidermico, naturale che distingue quelli bravi davvero da quelli che son destinati a non lasciare traccia di sé.
Di fronte a Ted K, che è una sorta di biopic impressionista di Theodore John Kaczynski, meglio noto come l’Unabomber, presentato nella sezione Panorama alla Berlinale 2021 in versione online, capisci subito che le prossime due ore del tuo tempo non andranno sprecate.
Ted Kaczynski, per i più giovani o distratti tra voi, è stato un terrorista che nel corso di 18 anni circa ha fatto 3 morti e più di 20 feriti con i pacchi bomba che inviava via posta, che viveva in una baracca senza elettricità né acqua corrente di 11 metri quadri nei boschi del Montana, e che teorizzava una sorta di filosofia anti-modernista e anti-tecnologica, nel nome di un ritorno alla purezza della natura.
Un pensiero anarchico, primitivista, neo-luddista con il quale numerosi studiosi, pur condannando la via violenta, omicida e folle scelta da Unabomber, si sono comunque confrontati nel corso degli anni.
Affidando il ruolo di Ted a Sharlto Copley, che si rivela bravissimo nel raccontare la rabbia e la confusione impose di Kaczynski, e basando la sceneggiatura (scritta con Gaddy Davis e John Rosenthal) interamente sui diari e sui messaggi di Unabomber, il regista Tony Stone costruisce un film magnetico e coinvolgente, anche e sopratutto in quella che sembra essere la sua mancanza di vera azione, e di una reale dinamica narrativa.
Ted K è un film che non vuole spiegare, ma che si pone come obiettivo quello di rappresentare sullo schermo la mente e lo sguardo di Unabomber, ed è capace di rispecchiarne la lucidità, la precisione e l’intelligenza, ma anche - senza inutili sensazionalismi visivi, ma con grande efficacia cinematografica - la sua visione distorta e malata delle cose e del mondo, la deriva folle, l’infantilismo di certe posizioni, il dramma delle sue mancanze (come quella di reali contatti con l’universo femminile e con la sessualità).
E la forma di questo film è specchio dell’interiorità del suo protagonista in maniera tale da risultare compresso e claustrofobico a dispetto degli spazi naturali aperti, solitari e selvaggi che spesso racconta.
Stone, che in precedenza si era fatto conoscere con alcuni corti, il videoclip di It Happened Today dei R.E.M. e per Peter and the Farm, un documentario dedicato a un altro strano personaggio, un contadino eremita di nome Peter Dunning, è uno che sa cosa inquadrare e come; dove mettere la macchina da presa e come muoverla; come usare il montaggio e la colonna sonora (che è bellissima, composta da Blank Mass e forte anche di una serie di canzoni non originali, tra le quali “Rooster” degli Alice in Chains: non a caso Stone è sposato con Melissa Auf Der Maur, ex bassista delle Hole e degli Smashing Pumpkins).
Stone è uno che sa come si usa il cinema, e qui il cinema lo usa per raccontare nella maniera più diretta e vicina possibile la mente di un personaggio controverso e perversamente affascinante, che da anni la cultura pop (come ad esempio nella serie Manhunt: Unabomber, disponibile su Netflix) cerca di studiare e mettere a fuoco, ma mai forse con questa efficacia, proprio perché si propone di descrivere dall'interno, invece che di analizzare dall'esterno.
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