Non sono mai stato un grande tifoso di calcio, ma ho sempre un debole per il genio e per la bellezza, anche quella dei gesti. Un po' anche per la sregolatezza, ammetto.
E quindi - sebbene sia un romanista non particolarmente praticante, e sebbene lui a Roma arrivò per giocare sulla sponda opposta, quella laziale - non ho mai potuto evitare di provare una profonda fascinazione per quel funambolo della vita e del pallone che è stato Paul Gascoigne.
"Ubriacone con l'orecchino", recitava un canto della curva Sud che lo scherniva volgarmente: e oggi Gascoigne è purtroppo noto quasi più per i gravi problemi di alcool e droga che ha avuto dopo aver smesso di giocare (non che prima fosse astemio, certo) che per le magie che era in grado di produrre con una palla tra i piedi.
Non si sa come, dopo un periodo di oblio, Paul Gascoigne è in questi giorni protagonista della nuova serie dell'Isola dei Famosi, quella condotta da Ilary Blasi: la signora Francesco Totti, tanto per rimanere in argomento calcistico, quella che nella serie Sky sul Pupone, Speravo de mori' prima, è interpretata da Greta Scarano.
Ma torniamo a Gascoigne.
Al Gascoigne calciatore, al Paul uomo, cui è dedicato un documentario che potete vedere in streaming su Amazon Prime Video. Il titolo? Semplicemente: Gascoigne.
Guarda Gascoigne su Prime Video
La vulnerabilità. La debolezza. La spensieratezza. Sono queste le tre caratteristiche di Gazza ricordate prima di qualsiasi altra da Gary Lineker, suo amico e compagno di squadra nel Tottenham e nella nazionale inglese. La sfrontatezza, aggiunge José Mourinho, che di Gascoigne è un grandissimo estimatore ("è lui lo Special One", dice), con Wayne Rooney uno dei tre personaggi che parlano in questo documentario, oltre allo stesso Paul Gascoigne.
Perché per capire Gazza, in campo e fuori, va capito il suo carattere.
Sregolato, guascone, festaiolo, smanioso di divertirsi in campo e di mostrare quando valeva coi piedi. Ma anche fragile, fragilissimo, capace di commuoversi con grande facilità. E di perdersi, lontano dal campo di gioco: "Mai restare soli coi tuoi pensieri: è pericoloso", ammette Paul Gascoigne, l'uomo dal cuore d'oro che la cui follia non conosce limiti, come diceva Artur Cox, suo allenatore al Newcastle.
E, in questo film diretto da Jane Preston, è lo stesso Gazza a confessare i suoi problemi, tra un sorriso amaro, un occhio lucido e le mani che tormentano.
Come quando confessa di aver iniziato presto con gli psichiatri, parlando di un incidente avvenuto quando era un ragazzino, quando il fratellino di un amico che gli era stato affidato morì investito da un'auto, e il giovane Paul iniziò ad avere tic e insonnia, e a frequentare medici che lo potessero aiutare.
I suoi problemi riemergeranno nella parte finale del documentario, quando il racconto in prima persona che Gascoigne fa della sua vita e della sua carriera arriva alla fase dell'addio al calcio, o perlomeno al calcio che conta davvero.
In mezzo, la sua turbolenta ascesa verso il successo: il Newcastle, appunto, e poi il Tottenham, la nazionale inglese, i mondiali di Italia 90, la Lazio, il Glasgow Rangers, l'ultimo exploit degli Europei del '96 e quel gol leggendario contro la Scozia. E ancora altri gol, i dribbling, gli assist.
Ma anche gli aneddoti (dallo struzzo portato ad allenarsi con gli Spurs al bacio chiesto a Lady D prima di una partita), la Gazza-mania, le difficoltà a relazionarsi con la celebrità e le pressioni che comporta, i primi eccessi alcoolici. Un secondo trauma, quando un cuginetto 12enne morì dopo aver giocato a pallone nonostante l'asma, e Gazza aveva appena pubblicizzato la possibilità per gli asmatici di fare sport, e Paul inizio di nuovo coi tic e con l'insonnia.
E, ovviamente, anche i gravi infortuni che lo tennero lontano dal calcio giocato troppo a lungo, permettendo l'emergere progressivo delle sue ansie e delle sue paranoie, non sempre infondate: venne fuori che Gascoigne venne illegalmente intercettato telefonicamente dalla stampa per undici lunghi anni, e dopo un'esultanza inconsulta ma inconsapevole dopo un gol nel derby Rangers-Celtics venne minacciato di morte dall'IRA.
C'è qualcosa, nel raccontarsi in prima persona, ma non solo, che in questo Gascoigne ricorda il Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli: c'è, soprattutto, il ritratto di una grandissima umanità, la voglia di raccontare non solo i successi ma anche i caratteri e i sentimenti. E c'è la storia di uno degli ultimi campioni capaci di essere uomo, e persona, prima dell'avvento delle star viziate e patinate, aziende di sé stesse prima ancora che sportivi, che popolano il calcio di oggi.
Anche per questo di calcio giocato, nei 90 minuti circa di questo doc, non ce n'è tantissimo: c'è il fuoricampo, il dietro le quinte, lo spogliatoio. C'è lo sguardo dolente del Gascoigne di oggi, che si commuove anche ricordando il suo attaccamento alla maglia inglese, ricorda sgomento - lui, il re dell'eccesso e della sregolatezza - l'ossessione degli italiani per il calcio e il clima e le pressioni prima, durante e dopo il derby di Roma, e cerca di nascondere dietro l'auto-ironia e qualche menzogna cui non crede nemmeno lui i suoi problemi e i suoi demoni: "purtroppo era solo acqua, fosse stato gin avrei poi giocato meglio", dice a proposito di una storica esultanza che prendeva di mira i tabloid che lo avevano attaccato pochi giorni prima di un match in nazionale per una notte brava a Hong Kong.
"Mi piace pensare si sia goduto ogni singolo istante," dice Mourinho di Gascoigne e della sua vita vissuta "a 200 all'ora". "Vorrei essere ricordato come calciatore", dice Gazza, consapevole che lontano dal campo la sua vita è stata e rimarrà tutta in salita. Sperando che davvero lui sappia oramai "quando bere e quando no", vedere questo film restituisce tutto il suo genio calcistico, e la sua esuberanza, la sua simpatia e la sua fragilità fuori dal campo. E chissà che, all'Isola dei Famosi, Paul non sappia fare tesoro del suo istrionismo, della sua sensibilità e delle sue esperienze.
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