domenica 27 settembre 2020

Paolo Conte, via con me

Difficile immaginare che il documentario che Giorgio Verdelli ha dedicato a Paolo Conte - il cui titolo riprende una delle più celebri (anche e soprattutto al cinema!) canzoni del musicista, cantante, avvocato di Asti ovvero Via con me e che, dopo il passaggio allo scorso Festival di Venezia, viene proiettato nelle sale negli ultimi tre giorni di settembre (28-30/9) – possa diventare un classico del documentarismo musicale, alla stregua di certi documentari di tradizione anglosassone (dove c'è solo l'imbarazzo della scelta da Stop Making Sense a Amy, il documentario su Amy Winehouse) o anche di altri illustri esempi, come Buena Vista Social Club di Wim Wenders e Ry Cooder.

Una cosa la si può tuttavia affermare con assoluta certezza: si tratta di un tentativo onestissimo capace di assemblare parecchi e preziosi documenti d'archivio (televisivo e anche cinematografico), concerti antichi e recenti di Paolo Conte (che permettono di apprezzare interpretazioni anche molto diverse fra loro, la trasformazione della voce inconfondibile del nostro), un impressionante numero di interviste contemporanee in grado di convocare moltissimi cantanti e musicisti (da Francesco De Gregori a Stefano Bollani, da Jovanotti a Marlene Kuntz, da Vinicio Capossela a Beppe Servillo, fra i testimoni; Caterina Caselli testimone e interprete, Adriano Celentano, Bruno Lauzi, Enzo Jannacci, splendidi interpreti d'archivio), ma anche registi e attori (Patrick Leconte, Jane Birkin, Pupi Avati, Roberto Benigni, nella sua passata, originaria e originalissima, versione surreale e – ahinoi – nell'ormai stucchevole versione “magnificante” del presente, Isabella Rossellini, Luca Zingaretti, anche in funzione di voce narrante, e Luisa Ranieri), celebri figure della televisione (Vincenzo Mollica, Renzo Arbore) e molte altre persone ancora. E soprattutto capace di convocare il protagonista, ormai ottantatreenne, ma oltremodo lucido, vispo, e soprattutto gradevolmente modesto. Di Conte, con un piacevole andamento cronologico altalenante, vengono riprese le fasi più celebri e – per chi non sia un conoscitore della biografia fin dagli esordi - meno celebri, ovvero gli inizi insieme al fratello Giorgio in una band in cui Paolo, talentuosissimo polistrumentista, suonava il vibrafono. A seguire gli anni della professione d'avvocato accompagnati dalla scrittura di canzoni a beneficio di altri (l'elenco fa rabbrividire: Azzurro, Insieme a te non ci sto più, Tripoli 1969, Messico e nuvole, ma anche Onda su onda e Genova per noi)in prima battuta eseguite da Lauzi) , la quasi decisione di recedere e tornare alla sola giurisprudenza e infine verso la metà degli anni '70 l'esordio come cantautore in prima persona, col primo album datato appunto 1974. Da lì una sconvolgente escalation che ha fatto di Conte forse il più celebre cantautore/chansonnier italiano fuori dall'Italia, cominciando con Parigi, autentica sede consacrante (le famosissime numerose serate, consecutive, all'Olympia), e proseguendo col resto d'Europa e occasionalmente anche in Canada e negli USA, in arene e teatri, lunghi tour e presenze a celebrati festival jazz, segno di un continuo crossover fra generi. Il documentario non si limita a raccontare soltanto di come Parigi abbia finito per diventare una specie di seconda patria ma sottolinea il carattere internazionale, interetnico e cosmopolita di Paolo Conte sospeso fra jazz e ritmi sudamericani, fra New Orleans, Buenos Aires, Napoli e la Padania. Di tutti i molteplici influssi Verdelli riesce a rendere conto, anche, com'è ovvio, con l'ausilio di Conte stesso, bravissimo a mantenere il massimo understatement anche adesso che, ormai da decenni, può essere considerato un classico in vita. Interessante è anche l'apertura verso Conte artista figurativo, certamente meno noto al grande pubblico.

Se volessimo proprio trovare qualcosa da ridire, potremmo affermare che il film pecca qua e là di ingenuità (il leitmotiv della topolino amaranto come filo conduttore narrativo non aggiunge nulla) e un po'contraddittorio: pur celebrando l'internazionalità di Conte, risulta alla fine troppo viziato di italianità, probabilmente - fatto salvo un breve intervento di Patrick Leconte e di Jane Birkin - si sarebbero potuti convocare altri testimoni non solo italiani volti a certificare l'indiscutibile grandezza del nostro, musicista grandissimo e autore di testi indimenticabili.

(Via con me); Regia: Giorgio Verdelli sceneggiatura: Giorgio Verdelli; voce narrante: Luca Zingaretti; fotografia: Federico Annichiarico; montaggio: Emiliano Portone, Matteo Bugliarello; interpreti: Roberto Benigni, Vinicio Capossela, Caterina Caselli, Stefano Bollani, Francesco De Gregori, Giorgio Conte, Pupi Avati etc.; produzione: Sudovest Produzioni, Indigo Film, Raicinema origine: Italia 2020; durata: 100'.



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