Most beautiful island si presenta allo spettatore con una sequenza iniziale muta, se non per i rumori e il perpetuo vociare della metropoli e delle creature che la abitano, che serpeggiano quasi senza logica tra le larghe e affollate strade, attraversando ponti e parchi, perdendosi in un dedalo sovraffollato da algide e poco rassicuranti prospettive future; nella marea montante di figure anonime, la macchina da presa di Ana Asensio, al suo debutto assoluto nel duplice ruolo di sceneggiatrice e regista, si focalizza, di tanto in tanto, quasi senza pensarci su, su alcune figure di giovani donne, ospiti un po' spaesate, forse poco gradite, di un mondo che non appartiene loro.
Tra tutte, destreggiandosi tra un lavoro come promotrice di un fast-food - prigioniera di un ingombrante vestito da pollo - e il tempo da dedicare a due viziatissimi e odiosi bambini di cui si occupa come babysitter, ecco Luciana (interpretata dalla stessa Ana Asensio), giovane donna dallo sguardo incupito da una tragedia passata, che non riuscirà mai a dimenticare - con ogni probabilità di tratta della tragica e prematura morte della figlioletta -, arrivata a New York proprio per fuggire dall'inferno di una vita che desidera scrostare via, per ricostruirne una nuova. Un compito arduo, soprattutto per una che non sa a chi rivolgersi per ambire a un lavoro più dignitoso e sicuro; se non a Olga (Natasha Romanova), un'immigrata russa, arrivata tempo prima di Luciana, che le propone di sostituirla a un party riservato, durante il quale non verrà messa a disagio in alcun modo; la paga é ottima e Luciana non si lascia scappare l'occasione, ma non può immaginare in quale abisso sta per sprofondare.
Ripartendo dalla sequenza d'apertura del film, si intuisce presto il modus operandi che Ana Asensio manterrà intatto per l'intera durata della sua opera prima, già presentata alla 35esima edizione del Torino Film Festival: la regista si avvale di una scrittura affettata, puntellata di dialoghi quasi ridotti all'osso, affidandosi a un'elevata mole di primi piani, soprattutto di Luciana, per mettere in mostra l'immane senso di disagio provato dalle ragazze partecipanti al party, e la glaciale indifferenza degli aguzzini che le catturano come prede selvatiche, mettendole in mostra, spaventandole, privandole della loro dignità.
La macchina da presa costantemente tenuta in mano, scopre con efficacia le vivide ferite che la narrazione di un contesto barbaro e volgare - l'oscuro sottobosco newyorkese popolato da vili cacciatori di anime erranti - adora e pretende di mettere in mostra, seguendo come un'ombra la determinata Luciana in una discesa verso gli inferi, al termine della quale non c'é posto per la salvezza. In questo senso, l'evoluzione (o involuzione) della stessa Luciana accende i riflettori su un contesto marcio fino al midollo, inglobato dal tessuto sociale metropolitano, sfruttando il plot del film come furiosa e silenziosa arma di denuncia, autorizzato dalla veridicità della stessa idea di scrittura, essendo una riproposizione rivisitata in chiave thriller - poi piegata, chiaramente, alla fiction - di esperienze passate della stessa Asensio: l'obiettivo della regista é quello di partecipare con prepotenza alla difesa degli innumerevoli immigrati che raggiungono la terra della speranza in cerca di un futuro migliore, ma che spesso vengono schiacciati dall'assordante indifferenza della metropoli - si riveda, ancora, la sequenza iniziale - o, peggio ancora, scompaiono nell'oscurità velenosa in cui serpeggiano medici, avvocati e uomini d'affari, che svelano la loro subdola natura di spregevole razziatori di innocenza.
Operando per sottrazione, lasciando spazio e autonomia al suono della città, ai respiri affannati delle vittime e a primissimi piani e movimenti di macchina lenti e snervanti, Ana Asensio tesse una narrazione epidermica, che quasi violenta con plot twist - quello dell'arrivo al party abbastanza prevedibile - e snervanti primi piani tremuli i sensi dello spettatore e dei personaggi in gioco. Most beautiful island riprende le inquietanti atmosfere polanskiane, mentre Ana Asensio cita John Cassavetes per l'impostazione naturalistica del soggetto stesso, sciogliendosi in un finale rivelatorio e dal sapore amaro in un registro minimalista, in grado di fondere con una certa abilità dolcezza e orrore, due facce di una falsa e d'orata medaglia.
Most beautiful island é senza ombra di dubbio un'opera dilatata forse in modo estenuante, ma diretta da un'esordiente che mostra calibrata sensibilità nel raccontare la sconfitta a cui devono sottomettersi quegli individui invisibili che, purtroppo, non hanno alcuna possibilità di svegliarsi dall'incubo senza fine del grande sogno americano.
(Most beautiful island); Regia: Ana Asensio; sceneggiatura: Ana Asensio; fotografia: Noah Greenberg; montaggio: Francisco Bello; musica: Jeffery Alan Jones; interpreti: Ana Asensio, Natasha Romanova, David Little, Nicholas Tucci, Larry Fessenden, Caprice Benedetti; produzione: Glass Eye Pix, Jenn Wexler, Chadd Harbold, Larry Fessenden, Noah Greenberg, Ana Asensio; distribuzione: EXIT MEDIA; origine: U.S.A., 2017; durata: 87'
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