Nel 1973 Peter Medak è un giovane regista avviato decisamente sulla strada del successo. Ha girato nell'arco di appena cinque anni tre pellicole acclamate da pubblico e critica. Tra i produttori gli è riconosciuta un'indubbia capacità di dirigere gli attori e una certa professionalità che gli permette di rimanere nelle tabelle previste senza che il budget complessivo lieviti eccessivamente. Insomma: una garanzia economica coniugata a un certo estro visionario che non disdegna cimentarsi con un genere particolarmente in voga a ridosso del '68 come la commedia nera.
Del resto il film dell'anno precedente, il 1972 è La classe dirigente, con Peter O'Toole, presentato addirittura a Cannes.
Il 1973 si annuncia, quindi, come l'anno della svolta. Gli viene infatti proposto un paradossale film di pirati. Star della pellicola è Peter Sellers, autore dei dialoghi aggiunti e attore a sua volta, è un altro grande genio della comicità non solo anglosassone, Spike Milligan.
Per un autore al suo quarto film una prospettiva del genere non può che essere allettante per cui Peter Medak, forte delle belle promesse dei suoi esordi, firma il contratto, ma i problemi non tardano a palesarsi.
Sellers, all'inizio allettato dal progetto, si disinteressa che ancora la sceneggiatura non è finita. Lo stesso Medak non ha mai girato in mare e non è del tutto preparato ad affrontare le riprese che lo aspettano. I produttori poi non sanno bene come muoversi con un materiale così esplosivo. L'unica cosa che c'è sin da subito sono, come qualche volta accade, i soldi. E non è un bene dal momento che la presenza dei capitali spinge tutti a partire con l'idea che i problemi si risolveranno strada facendo.
In corso d'opera, invece, gli incidenti si moltiplicano e, all'iniziale disinteresse della star si aggiunge la delusione cagionata dalla fine della sua brevissima storia con Liza Minelli che lo getta in uno sconforto senza pari.
Dalla svogliatezza al sabotaggio vero e proprio il passo e sin troppo breve e i capricci di Sellers pregiudicano pesantemente la produzione del film. Primi a cadere sono proprio i produttori, licenziati in men che non si dica. Poi cade nella trama il collega e amico Tony Franciosa: insofferente al diktat del più grande comico del mondo, viene estromesso se non dal film almeno dalle inquadrature che avrebbe dovuto girare insieme a lui. Ne risultano situazioni incongrue come un duello con la spada tra i due attraverso una botola sul ponte della nave, con Sellers invisibile sotto e Franciosa gigionesco in favore di macchina. Peter Medak da parte sua tiene duro anche perché ha una figlia nata da poco e i soldi del lavoro lui li prende solo alla consegna del film. Ma è difficile con un attore che arriva sempre tardi sul set e, a un certo punto, approfittando del suo cuore malandato, finge addirittura un attacco cardiaco.
Alla fine Ghost in the Noonday Sun, questo il titolo dello sfortunato film, viene anche completato, ma mai distribuito nelle sale.
A quaranta anni da questo insuccesso clamoroso, Peter Medak torna sui suoi passi e racconta, in The ghost of Peter Sellers, la storia tragicomica di un set che non avrebbe mai dovuto essere aperto.
Il racconto picaresco delle disavventure del film, però, è solo il punto di partenza per una riflessione sul senso stesso del fallimento e sulla difficoltà di affrontare i propri fantasmi personali che per Medak non sono solo quelli della lavorazione di un film, ma anche quelli che gli arrivano da lontano, dal passato familiare, dalla morte del fratello e poi del padre, dal suicidio della moglie, dalla sua condizione di ebreo durante l'invasione dell'Ungheria e dai complessi di colpa che da tutti questi lutti discendono copiosi.
Il passo dall'individuale all'universale viene compiuto con leggerezza mentre il tono resta sempre nel composto clima di una rievocazione che miscela insieme nostalgia e candore, ironia e lacrime.
Ripercorrere luoghi e incontrare persone, poi, sposta l'ago della bilancia del documentario dal semplice racconto a una riflessione sul senso stesso del cinema e sulla persistenza della memoria così che sconvolge ritrovare certi set esattamente come li si era lasciati quaranta anni prima, mentre fa sentire piccoli ritrovarsi a ripercorrere una storia in fondo banale in mezzo alle colonne di Cipro vecchie di tremila anni.
Così The Ghost of Peter Sellers supera rapidamente la dimensione del racconto di un fallimento che ha pregiudicato un'intera carriera (Medak fu lungamente costretto al ripiego) per diventare una riflessione sul senso stesso del cinema che scolpisce il tempo lasciandosi dietro commoventi simulacri.
Bellissima riflessione ai tempi delle Fake news.
(The Ghost of Peter Sellers); Regia: Peter Medak; fotografia: Christopher Sharman; montaggio: Joby Gee; musica: Jack Ketch; con: Peter Medak, Simon van der Borgh, John Heyman, Murray Melvin, David Korda, Victoria Sellers, Joe Dunne, Robert Wagner; produzione: Vegas Media; origine: Cipro, 2018; durata: 93'
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