domenica 16 ottobre 2022

Russell Crowe, gladiatore generoso, conquista il pubblico di Alice e Festa del Cinema di Roma

Dopo la Masterclass di ieri, nel corso della quale ha tenuto banco con inusitata generosità per un'ora e mezza, per l’entusiasmo di tutto il pubblico, i giovani, gli appassionati, gli aspiranti attori e registi presenti, Russell Crowe non è stato da meno nel corso della conferenza stampa in cui era chiamato a presentare il suo nuovo film da regista (il secondo dopo The Water Diviner) e interprete: Poker Face. Un film che è stato presentato a Roma grazie a Alice nella Città, in coproduzione con Festa del Cinema di Roma, e che arriverà nei cinema italiani il 24 novembre distribuito da Vertice 360. La storia che che racconta la storia di un miliardario che, per motivi che non sarebbe corretto svelare, convoca i suoi migliori amici per una partita di poker dalla posta elevatissima: non solo dal punto di vista del denaro, da lui messo a disposizione, ma anche da quello delle verità che emergeranno nel corso di una serata condita anche da imprevisti criminali.

Poker Face: il poster del film

In un mondo, quello del cinema e di star vere o presunte, in cui si fa spesso a gara a chi se la tira di più, in cui le maschere (spesso non sempre simpatiche) sono la regola, e l’apparenza è tutto (ma inganna), il modo in cui Crowe si presenta e parla, orgogliosamente sfasciato nel fisico, senza peli sulla lingua, più che incline alla parolaccia, non suscita solo simpatia, ma anche un certo qual rispetto.
Così come suscita simpatia e rispetto il racconto di come Crowe sia finito di nuovo dietro la macchina da presa.
Poker Face era una produzione già finanziata quando mi è stata proposta”, ha iniziato. “Il regista che avrebbe dovuto girarlo aveva avuto problemi familiari e ha dovuto abbandonare il progetto a cinque settimane dall'inizio delle riprese. Mi hanno chiamato: e mi hanno detto ‘manca poco all’inizio delle riprese, la sceneggiatura è un casino, non c'è un regista. Vuoi occupartene tu?’”. A questo punto, Crowe, ritiene utile fornire anche il contesto in cui questa proposta è arrivata. “Mio padre era appena morto da una decina di giorni.Eravamo in piena pandemia. Sydney stava per entrare in un lockdown durissimo. Quel che ho fatto è stato utilizzare allora il principio che mio padre avrebbe applicato, e decidere di non mettere in difficoltà le 280 persone della troupe che senza di me sarebbero rimaste senza lavoro in quella situazione difficile. Lavoro nel cinema da quando ho sei anni, e i miei migliori amici vengono dai set, a tutti i livelli, e sapevo che dovevo dire di sì. Retrospettivamente è stata la sfida più assurda che abbia mai dovuto affrontare: ma tutti i lavori che ho fatto nella mia carriera, dalle prima comparsate, alla tv, alla pubblicità, al cinema, mi hanno preparato a una cosa del genere”.

Una volta presa la decisione, non facile, è poi arrivata per Crowe la parte più difficile, come lui stesso ha spiegato: “Ho riscritto il copione esistente in nove giorni. Ricevute le note dei produttori, ho fatto una seconda stesura in quattro. Nel mentre, ho cercato di coinvolgere gli amici attori in un film che non aveva ancora un copione, chiamandoli di notte perché io ero in Australia e loro in America. Tutte queste difficoltà hanno reso il film vivo, l'hanno plasmato, e quello che doveva essere un action è diventato un film sull’idea di eredità, su un uomo che aveva tutto a sua disposizione tranne il tempo”.
Arrivati al momento delle riprese, le cose non si sono semplificate, perché “nel mezzo di una pandemia è stato tutto più difficile, abbiamo dovuto fare molte cose illegalmente, di notte, coinvolgendo amicizie, non potevamo avere momenti di socialità, non potevo offrire alla troupe o agli attori un drink, non potevamo stare insieme se non quando giravamo.Poi siamo stati fermati, dal Covid, e quando abbiamo ripreso, sette mesi dopo, le alluvioni che c’erano state avevano distrutto i set, e abbiamo dovuto ricostruirli da capo”.
Ma Crowe sorride, e ride, raccontando queste storie. Perché, ha detto: “tutte le esperienze della mia vita mi hanno condotto lì e sono dentro questo film. Ho fatto del mio meglio con le risorse che avevo a disposizione, e alla fine è venuto fuori qualcosa di intimo e personale per me, diverso dal film che era prima che mi arrivasse tra le mani”.



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