martedì 3 novembre 2020

Vilas: tutto o niente, il documentario Netflix per gli appassionati di tennis (e non solo)

Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, ai miei occhi di bambino il Foro Italico durante gli Internazionali d'Italia di tennis era il posto più bello del mondo.
È lì che è nata la mia passione per quello sport, una passione basata su un imprinting sensoriale prima che sportivo: la geometria delle righe del campo, il rosso della terra battuta che ti si attaccava a scarpe e calzini, il rumore della racchetta che colpisce la pallina nel silenzio assordante del pubblico, gli scrosci di applausi alla fine del punto.
Per motivi di lavoro (legati alla WIP, l'azienda di Walter Pedrazzoli che produceva la racchetta utilizzata da Adriano Panatta, la Panatta Autograph) i miei genitori  presidiavano un stand durante tutto il periodo degli Internazionali. E io, dopo la scuola - a volte al posto della scuola - andavo lì con loro.
Quelle trascorse al Foro erano per me giornate bellissime. E come potevano non esserlo, con il sole di Roma in maggio, la libertà di muovermi da solo in spazi controllati, il tennis e un'atmosfera di rilassata gaiezza tutta attorno.
I ragazzini più grandi di me che facevano i raccattapalle durante il torneo mi avevano preso in simpatia; anche perché io spesso regalavo loro le palline da tennis dello stand dei miei genitori, ricevendo il cambio opinabili contropartite: come un polsino sudato di Yannick Noah.
Ero però un bambino timido, e mi sentivo in grande imbarazzo quando i miei genitori o altri adulti mi volevano presentare uno dei tanti campioni che frequentavano il torneo. È rimasto celebre, nella mia famiglia, il rifiuto di farmi una foto assieme a Vitas Gerulaitis.
Erano infatti quegli gli anni di Panatta, di Gerulaitis, di Noah. Ma anche del leggendario Björn Borg, e di quello che dello svedese era un grande amico, nonché rivale in campo: Guillermo Vilas.

Guillermo Vilas, re della terra rossa

Per tutta la seconda metà degli anni Settanta Guillermo Vilas - che ricordo uscire sorridente su un campo secondario dopo un allenamento agli Internazionali - è stato uno dei più forti giocatori del mondo, specie sulla terra rossa.
Tanto per rimanere agli Internazionali, Vilas raggiunse la semifinale nel '75 e la finale nel '76, l'anno della vittoria di Panatta. Ancora in finale nel '79, sconfitto da Gerulaitis. Vilas conquistò gli Internazionali nel 1980, battendo Noah. Nell'81 raggiunse di nuovo la semifinale.
La sua ascesa era cominciata tra il '74 e il '75, e il '77 (l'anno un cui vinse due tornei del Grande Slam: Roland Garros e Australian Open) fu per lui l'anno dei record, con una striscia di 46 vittorie consecutive e un'altra di 53 sulla terra (battuta solo di recente, nel 2006, da quel mostro di Nadal nel 2006) e 16 tornei ATP vinti, di cui 14 su terra. Successivamente, tra il '78 e l'81, rimase sempre ai vertici del tennis mondiale, giocando alla pari match contro gente come Borg, Connors e tanti altri.
Ma, nonostante tutto questo, Guillermo Vilas non divenne mai il giocatore numero uno al mondo secondo la classifica ATP.
Possibile? Nemmeno in quello straordinario 1977?

Enter Eduardo Puppo, il Rino Tommasi argentino

C'è un giornalista sportivo argentino che si chiama Eduardo Puppo. È un po' il Rino Tommasi d'Argentina, uno che ha girato tutto il mondo seguendo tornei e giocatori, ed è uno che a un certo punto si è fatto proprio quella domanda: possibile davvero che Vilas, in quegli anni folgoranti di carriera, non sia mai stato riconosciuto numero uno al mondo dall'ATP? No, secondo lui (e non solo lui) non è possibile.
Ecco che allora Puppo inizia raccogliere dati, e a fare conteggi, con l'aiuto di Mariun Ciulpan, un matematico rumeno impallinato di tennis reclutato online. E scopre che, perlomeno per alcune settimane del 1975 e due nel 1976, Guillermo Vilas sarebbe dovuto essere in testa alla classifica dell'ATP.
Vilas: Tutto o niente, un documentario che trovate disponibile in streaming su Netflix, racconta questa storia. Racconta la storia di Puppo e della sua battaglia, che poi è anche la storia di Guillermo Vilas e la battaglia di Vilas.

Vilas: tutto o niente - il trailer

Vilas: tutto o niente: più di un semplice documentario sportivo

Diretto da Matías Gueilburt, Vilas: Tutto o niente racconta Puppo, e racconta Vilas, e il legame sempre più stretto che si viene a formare tra i due.
Racconta la vita carriera di un grande campione, amante della libertà, della musica e della letteratura (e della scrittura, come testimoniano i suoi taccuini e le sue poesie), sensibile e solitario, ma anche lavoratore instancabile, assiduo e determinato. E di quel vuoto che magari molti possono giudicare secondario, ma che un altro campione di anni successivi come Mats Wilander (uno dei tanti campioni che appaiono nel film, assieme a Boris Becker, Rafa Nadal, Roger Federer e una Gabriela Sabatini ancora più bella oggi di quando giocava) sintetizza in maniera esemplare: perché spiegare a un tassista che hai vinto il Roland Garros è una cosa, dirgli che sei stato il numero uno al mondo tutta un'altra.
Di fronte a Vilas: tutto o niente non ci sono tassisti, ma ci siamo noi spettatori.
Quelli che Vilas se lo ricordano, perché oramai (ahinoi) avanti con gli anni, e quelli che impareanno a conoscerlo.
E magari anche a commuoversi un po' per la sua storia, per l'investimento umano di Puppo e di Vilas nella ricerca e nel tentativo, finora vano, di veder riconosciuto un errore nei calcoli dell'ATP di quel tempo, e per quel progressivo annebbiarsi della mente di Vilas - malato di demenza senile, come la stampa più impietosa ha rivelato -  che nel film viene appena accennato, con elegante discrezione.
Così come con elegante discrezione si glissa sulla liason tra il giocatore e Carolina di Monaco nel 1982, che forse gli costò il titolo di quell'anno al Monte-Carlo Rolex Masters, andato all'amico Borg, e che si concluse con un poema scritto dal tennista in onore di quell'amore svanito.
Quella di Vilas: Tutto o niente non è solo la storia anti-epica di una carriera sportiva e di un'ingiustizia subita, o il ritratto di uno degli ultimi campioni che amavano il tennis ma anche la vita, e il divertomento, ma contiene al suo interno un’intensa una parabola umana, fatta di successi e di sconfitte, di ascese e cadute.
La lotta tenera e appassionata di Puppo e Vilas per vedere riconosciuto un traguardo importante ricorda anche quelle che, giorno dopo giorno, affrontiamo nelle nostre vite, anche se più semplici e anonime di quelle del campione argentino. Ci ricorda di quando, anche noi, speriamo di ricevere dagli altri quei riconoscimenti, anche solo simbolici, che però spesso pensiamo ci possano spettare, e che spesso non otteniamo, non sempre e non solo per nostro demerito.



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